Una Brexit senza accordo (no deal) rischia di creare problemi all’approvvigionamento ed all’export alimentare nel Regno Unito. Il problema principale sarebbe la necessità di rinegoziare i rapporti commerciali con l’UE dal momento che, in assenza di agevolazioni su dazi e scambi, gli inglesi potrebbero innalzare barriere doganali, cosa che avrebbe una ricaduta pesante sulle vendite di tutti i prodotti alimentari, non solo del nostro Made in Italy. L’allarme d’altronde era stato già lanciato il 28 gennaio scorso, quando le principali aziende di grande distribuzione e fast-food del Paese avevano firmato congiuntamente una lettera al Governo esprimendo preoccupazione per un futuro privo di accordo.
Con quasi 1/3 del cibo consumato in Gran Bretagna che arriva dai paesi dell’Unione Europea, una Brexit senza accordo si tramuterebbe in un problema reale per produttori e consumatori. E la questione tocca da vicino anche l’Italia, che ha da poco conquistato il record storico di 3,4 miliardi di euro per le esportazioni agroalimentari oltremanica (+2% rispetto all’anno precedente)1.
Bollicine e vini italiani e francesi, formaggi europei nella misura di oltre il 60% del totale di quelli presenti a scaffale ma anche olio d’oliva, pomodori ed agrumi dall’area mediterranea: la Gran Bretagna produce appena la metà del cibo che consuma ed è da sempre costretta a ricorrere alle importazioni. Il principale partner commerciale è proprio l’UE, dalla quale incamera il 30% degli alimenti. Seguono le Americhe con l’8%, il continente africano (4%), l’Asia (4%) e gli altri paesi del mondo.
Per quanto riguarda il nostro Made in Italy, dopo il comparto vino che fattura sul mercato inglese quasi 827 milioni di euro – spinto dal boom del Prosecco Dop -, al secondo posto tra i prodotti agroalimentari italiani più venduti in Gran Bretagna c’è l’ortofrutta fresca e trasformata (in particolare i derivati del del pomodoro, con 234 milioni di fatturato). Seguono la pasta, i formaggi, l’olio d’oliva ed alcune eccellenze nostrane, da tempo solidamente affermate nelle tavole inglesi: Grana Padano e Parmigiano Reggiano, il cui valore si aggira sugli 85 milioni di euro. Tutte esportazioni a rischio: secondo uno studio di Confindustria2 a risentirne principalmente sarebbero le imprese esportatrici italiane, che in ballo hanno ben 23 miliardi di euro. Va da se che una Brexit no deal si ripercuoterebbe pesantemente sul comparto agroalimentare, danneggiando i grandi ma soffocando in particolar modo tutte quelle le medie e piccole aziende artigiane produttrici di eccellenza che hanno nella Gran Bretagna un solido mercato di sbocco per i propri prodotti.
“La mancanza di un accordo è lo scenario peggiore perché rischia di rallentare il flusso dell’export, ma a preoccupare è anche il rischio che si affermi in Gran Bretagna una legislazione sfavorevole alle esportazioni agroalimentari italiane“, afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini. Un risvolto pesante della medaglia riguarda infatti la tutela giuridica dei marchi, con le esportazioni italiane di prodotti a indicazioni geografica e di qualità (Dop/Igp) che, senza protezione europea, rischiano di subire la concorrenza sleale dei prodotti di imitazione.
Nel frattempo, per far fronte ad un concreto rischio di paralisi commerciale, è spuntata fuori la “Brexit Box“, un vero e proprio kit di sopravvivenza alimentare dal costo base di circa 300€ e dal peso di 15 chili, con una shelf life stimata in 25 anni. Il pacco, contenente nella sua versione base una sessantina di pasti liofilizzati (48 porzioni di carne, un filtro per l’acqua, un dispositivo di accensione e 200 millimetri di fuoco in formato gel) è stato ideato dalla “Emergency Food Storage”, azienda specializzata in cibo a lunga scadenza ed altri generi di emergenza, per le situazioni che richiedono canali di approvvigionamento diversi da quelli classici.
1 analisi Coldiretti su base dei dati Istat relativi al 2018. Fonte: comunicato stampa Coldiretti
2 analisi a cura del Centro studi di Confindustria (Csc). Maggiori informazioni al seguente link.