l giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Firenze, Angela Fantechi, ha rinviato a giudizio con l’accusa di omicidio volontario con dolo eventuale tutti i sette indagati per la morte di Duccio Dini, il 29enne travolto e ucciso il 10 giugno scorso a Firenze, mentre era fermo a un semaforo, da un’auto coinvolta in un inseguimento tra famiglie rom del campo nomadi del Poderaccio.
La prima udienza del processo è stata fissata per il 4 luglio nell’aula bunker di Firenze. Al momento, due degli arrestati sono in carcere, mentre cinque sono agli arresti domiciliari. Tra le parti civili ammesse dal gup, l’associazione Amici di Duccio Dini Onlus, il Comune di Firenze e i familiari del 29enne ucciso. Secondo quanto ricostruito nel corso delle indagini, il 10 giugno scorso, una domenica, Duccio Dini stava andando al lavoro ed era fermo sul suo scooter al semaforo fra viale Canova e via Simone Martini quando fu travolto da una Volvo impegnata in un inseguimento ad alta velocità, scaturito da una lite tra parenti nel parcheggio del supermercato Esselunga di viale Canova.Quattro le auto coinvolte e lanciate a 100 chilometri all’ora: una Lancia Libra guidata da Antonio Mustafa, 44 anni; una Volvo su cui viaggiavano Remzi Amet, 65 anni, Remzi Mustafa, 20 anni, e Dehran Mustafa, 36 anni; una Opel Vivara a bordo della quale si trovavano Emin Gani, 27 anni, e Kole Amet, 39. Lanciate a 100 km all’ora, le auto inseguivano la Opel Zafira di Bajram Rufat, 43 anni, sposato con la figlia di Remzi Amet, ed erano riuscite più volte a speronarla finché l’utilitaria, ormai senza controllo, si era schiantata contro un palo e poi contro un albero, incendiandosi.
Mentre Bajram Rufat, ferito, riusciva a mettersi in salvo, la Volvo sbandava, urtava un’auto in transito e si schiantava contro il motorino di Duccio Dini. Trasportato in coma all’ospedale fiorentino di Careggi, il giovane morì qualche ora più tardi.