Nei giorni scorsi, il sindaco di Firenze ha tuonato contro i presunti episodi di razzismo che si sarebbero verificati nel capoluogo toscano ed in Italia. È vuole imporre un bollino antirazzista.
Al solito, in perfetto stile di sinistra, ha strumentalizzato episodi che con il razzismo non hanno nulla a che fare per proporre soluzioni, che hanno il sapore sempre più di dittatura del pensiero unico.
Pensiero unico che vuole tutti pro immigrazione e porti aperti, ius soli e genuflessione alle culture straniere, pena l’accusa infamante di fascismo e razzismo. Il tutto adesso estrinsecato in un logo, di prossima emissione, da apporre sulla propria attività commerciale.
Il patto sociale antirazzista.
Il patto sociale anti razzista sarebbe la risposta del sindaco di Firenze, Dario Nardella, all’imbrattamento della targa dedicata Idy Diene, ucciso da un militante del PCI, imbrattata, al pestaggio alle Cure, che è stato perpetrato da altri stranieri peraltro, alle presunte minacce, oggetto di strumentalizzazione politica alla senatrice a vita Liliana Segre, che non le ha né drammatizzate né confermate.
Ma tali minacce hanno portato alla istituzione della Commissione che porta il suo nome, che ci vuole far ripiombare nella censura ed in nuova caccia alle streghe, in perfetto stile 1984 di George Orwell.
Un arrogante ed ingiustificata iniziativa che dovrebbe sfociare in un bollino, “un logo simbolo di solidarietà da esporre sulle vetrine di Firenze” dicono dalla Confartigianato. “Un logo che diventi un’affermazione forte e chiara di antirazzismo e di solidarietà.”
Un’iniziativa cui subito ha aderito con entusiasmo il Rettore dell’università di Firenze Luigi Dei.
Una soluzione ridicola ed inutile, che se apposta da tutti non avrebbe senso e se non apposta da qualcuno per i più svariati motivi, fosse anche solo di dissenso verso una giunta non gradita, sarebbe chiaramente divisiva e discriminatoria.
Quali le sanzioni su chi eventualmente non dovesse apporre il magico adesivo? Forse il boicottaggio di quell’esercizio? A quando la scritta razzista sulla vetrina, magari accompagnata da qualche simbolo politico?
La storia ce lo insegna, apporre scritte e simboli nei negozi evoca periodi bui della nostra civiltà.
Apporre un simbolo alle vetrine dei negozi ricorda sinistramente il mese di marzo del 1933, quando in Germania i nazisti acquisirono nel parlamento tedesco un gran numero di seggi, e si aprì una stagione di diffusa violenza e atti di teppismo contro le imprese ed persone di razza ebraica, ed un vero e proprio boicottaggio.
Nel giorno del boicottaggio, le camicie brune naziste presenziarono i grandi magazzini, le imprese al dettaglio e gli uffici di professionisti, quali medici e avvocati, di proprietà ebraica.
La Stella di David venne dipinta in giallo e nero su migliaia di porte e finestre, negozi ed esercizi commerciali, con cartelli di slogan antisemiti. Vennero affissi cartelli che dicevano Kauf nicht bei Juden Die Juden sind unser Unglück, cioè “Non comprate dagli ebrei!” “Gli ebrei sono la nostra disgrazia!”
Un bollino, quello pensato da Nardella, che sia un sigillo di moralità ed adesione ai valori dominanti e graditi al potere, ricorda tristemente i cartelli affissi ai negozi, nell’ Italia fascista, all’indomani della approvazione delle leggi razziali. Cosa ne penserebbe la Segr e di tutto questo?
Questa disgraziata iniziativa di Nardella ricorda ciò che si vuole combattere, almeno a parole, e disvela quanta poca democraticità vi sia nel Dna di una sinistra che non ammette di essere larga minoranza nel paese, e vuole di conseguenza imbavagliare l’avversario attribuendogli fantasiose prerogative di fascismo e razzismo, additandolo al presunto pubblico ludibrio e tentando di boicottarene anche il lavoro e le attività economiche, in perfetto stile dittatoriale.