Impazza in questi giorni l’hashtag #10yearschallenge, ossia il gioco più o meno perverso di mostrare una foto di oggi ed una di 10 anni or sono.
Se da un lato la trovata può apparire ai più come un goliardico rimedio al tempo che passa, dall’altra si sprecano le teorie più o meno sensate.
Innegabile che l’ondata emotiva che suscita il ripescare un vecchio fotogramma possa scuotere o pungolare anche l’animo più granitico, magari sublimato con un amaro sospiro, o perché no, con un beffardo sorrisetto di soddisfazione per i chili persi.
Ricordi, rimpianti, sorrisi, fortune o sfortune che hanno contraddistinto i nostri personali dieci anni che tornano a galla mentre col dito stancamente sfogliamo la galleria di un social nella vana speranza di occupare qualche minuto di una stanca giornata qualsiasi. Ed è lì che siamo rapiti dal nostro amico, oggi calvo, mostrare una fluente chioma nell’estate 2009, o abbiamo un sussulto di gelosia nel vedere quell’attore che proprio non ne vuol sapere di invecchiare nonostante il tempo che passa.
Dieci anni sono tanti. Senza dubbio.
E quel che una foto immortala, magari nel momento migliore dell’anno (sia mai che sui social si pubblichi una foto brutta, anche se per gioco!) deve essere un termine di paragone per gonfiare il petto ed essere soddisfatti del proprio progresso esteriore, stante la totale mancanza di sentimenti in un social network basato essenzialmente su fotografie autoreferenziali come Instagram.
Se non è un qualcosa per intrattenere noi utenti allora è forse marketing? Serve per caso alle aziende per mostrare i muscoli al cliente dimostrando i progressi compiuti?
Secondo la giornalista Kate O’Neill di Wired c’è molto di più. E agli appassionati di Black Mirror sfuggirà un “l’ho sempre sospettato”!
“Immaginate di voler costruire un algoritmo di riconoscimento facciale in base alle caratteristiche legate all’età (ad esempio, sapere come saranno le persone con l’avanzare dell’età). Idealmente, avreste bisogno di un database di immagini vasto e accurato di persone. Sarebbe di grande aiuto per conoscere il divario esatto che separa le due foto. Diciamo, 10 anni”.
Secondo la giornalista, grazie a questa moda online “ora c’è un enorme database di immagini accuratamente selezionate di esseri umani, a dieci anni di distanza”.
Le aziende online hanno i mezzi per fare questo tipo di estrazione, è un dato di fatto. Ma la giornalista si pone una domanda “resta da vedere se sia una brutta cosa usare le foto dei social per comporre un algoritmo“. Per rispondere, “Non necessariamente, perché in un certo senso è inevitabile. Gli esseri umani sono la fonte più importante di dati per tutta la tecnologia che sta crescendo nel mondo. Dobbiamo esserne consapevoli e agire con prudenza e intelligenza“.
Al netto di strategie di marketing ed algoritmi di riconoscimento facciale, a noi rimane da domandarci una cosa soltanto: “ma come fa a mantenersi così giovane dopo 10 anni?!”.