17 giugno 1974, Padova: le Brigate Rosse compiono i loro primi omicidi. Erano gli anni in cui agli antifascisti tutto era permesso, grazie alla protezione data dal Partito Comunista e da una Democrazia Cristiana ben disposta a girarsi dall’altra parte. I terroristi rossi, dunque, imperversavano impuniti in tutta la penisola.
Intendiamoci, non che oggi ci sia equità nel condannare le violenze dell’antifascismo, sempre ben protetto e tutelato. Ma il contesto degli anni di piombo era diverso. Successivamente, finita la stagione della strategia della tensione, certi apparati dello Stato non hanno avuto più bisogno, perlomeno in quella misura, di mantenere in piedi certi gruppi di fuoco.
I FATTI DI QUEL MALEDETTO 17 GIUGNO 1974
Erano le le 09.30 del mattino, le Brigate Rosse fecero irruzione nella sede padovana del Movimento Sociale Italiano. All’interno del locali vi erano Graziano Giralucci, militante trentenne, rugbista, fondatore del CUS Padova e Giuseppe Mazzola, un ex carabiniere in pensione, sessantenne, che teneva la contabilità.
I componenti del commando omicida furono cinque: Roberto Ognibene e Fabrizio Pelli come esecutori materiali dell’incursione armata, Susanna Ronconi con funzione di retroguardia, Giorgio Semeria come autista e Martino Serafini come sentinella.
Ognibene e Pelli entrarono nella sede del Partito con due pistole, una P38 e una 7.65 con silenziatore. Sebbene privo di armi, Mazzola provò a disarmare Ognibene. Purtroppo un forte mal di schiena, ereditato da un intervento in servizio, gli fece perdere l’equilibrio e mentre stava candendo all’indietro fu attinto da un primo colpo. Nel frattempo, Giralucci, tentò di immobilizzare Ognibene, che sparò un secondo colpo, andando però a vuoto e provocando l’inceppamento del carrello. Sopraggiunse velocemente Pelli, che nel frattempo si era allontanato a ispezionare un’altra stanza, il quale sparò un primo colpo calibro 38, trapassando la spalla di Graziano Giralucci, colpito immediatamente dopo da un secondo colpo alla tempia. Fu allora che Giuseppe Mazzola, ormai inerme e dolorante a terra, venne finito con un colpo di calibro 38 alla fronte.
Caddero così Mazzola e Giralucci. Lottando a difesa della propria trincea. Coprendosi d’onore.
“Mio padre mi ripeteva spesso – dice il figlio di Mazzola- che non è solo la paura ad essere contagiosa, ma anche il coraggio lo è altrettanto”.
COSA ACCADDE DOPO
LE INDAGINI
Su questo delitto, come per tanti altri dello stesso tipo in quegli anni, furono condotte con maliziosa superficialità. Appena un anno dopo (novembre 1975) viene aperta una strumentale inchiesta sul presunto tentativo di ricostituzione del disciolto Partito Nazionale Fascista contro 33 militanti del fronte della gioventù di Padova. In 12 subirono una lunga, ingiusta, carcerazione preventiva.
Un clima linciaggio politico e morale venne creato intorno a quella Comunità militante padovana. Dopo queste vicende la città di Padova assistette inerme al salto di qualità dell’estrema sinistra, che si riconosceva nelle tesi del professor Toni Negri di Autonomia Operaia. Protagonista della lunga, sanguinaria, stagione degli anni di piombo.
Questo è il contesto storico e politico della Padova in cui maturò il primo assassino della storia delle Brigate Rosse. Una fetta della storia politica della nostra Nazione macchiata di sangue e di terrore cominciò in quella strada della Vecchia Padova. Emblematiche le parole di Mario Bortoluzzi, storica voce padovana del gruppo musicale La compagnia dell’anello. Egli ricorda sempre la “strategia della tensione portata avanti in quegli anni da alcuni apparati dello Stato, che in nome della stabilità del sistema creò il clima che portò alla morte di tanti giovani ragazzi e all’ostracismo dichiarato per una forza politica come l’Msi”.
Le condanne per gli assassini di Mazzola e Giralucci sono arrivate soltanto all’inizio degli anni 90, dopo alcuni pentimenti, con pene tutt’altro che severe.
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