Il 2 giugno quest’anno ha una faccia strana perché c’è un governo di unità nazionale guidato da un extra-politico super partes. In teoria quest’anno la festa è veramente di tutti, o quasi, o comunque non è monopolizzata da una parte; ed è festa d’addio per Mattarella al Quirinale, salvo colpi di coda. Nel 75° compleanno della Repubblica vorrei ricordare non solo i motivi che ci uniscono ma anche quelli che ci dividono.
Per una nazione civile e democratica, dove libertà fa rima con dignità, l’amor patrio è il primo valore comunitario della Repubblica. Quali dovrebbero essere i suoi principi condivisi? Il rispetto del popolo sovrano, della sua storia e delle sue istituzioni, delle sue leggi e della dignità personale e collettiva; il rispetto della libertà e della democrazia, dei suoi principi, delle sue regole e dei suoi verdetti; il rispetto della legge, uguale per tutti, gli stessi diritti e doveri; il rispetto dell’Italia, della sua integrità territoriale, del suo paesaggio e del suo linguaggio, delle sue bellezze d’arte e cultura, nel quadro di una scelta di civiltà europea e di pace internazionale.
La difesa della Patria
E la difesa della patria in caso di pericolo. In negativo ci dovrebbe unire il ripudio di ogni violenza, ogni dispotismo e totalitarismo, ogni negazione della vita e della dignità umana, ogni discriminazione. Di tutto questo il presidente della Repubblica dovrebbe essere il supremo garante, e con lui le forze armate, la magistratura e tutti i rappresentanti dello Stato.
Però accanto ai valori condivisi e alle regole comuni ci sono i legittimi motivi di contrasto. Se il 2 giugno fingiamo che non ci siano divergenze, diamo una versione falsa e bigotta, solo cerimoniosa, che nasconde il germe della doppia verità nel finto ossequio. E allora dopo aver indicato i punti che ci dovrebbero unire, proviamo a dire onestamente cosa ci divide il 2 giugno, non sul piano storico ma ideale. Non prendetelo come un esercizio diabolico di chi vuol seminare zizzania nel giorno delle nozze, ma come una precisa e leale dichiarazione di intenti e dissonanze.
1.
Le culture di centro-sinistra ritengono che l’amor patrio sia fondato sul patto costituzionale, mentre le culture di centro-destra ritengono che prima della costituzione formale, sancita dalla carta, vi sia una costituzione reale che nasce e si forma nel corso della storia e della vita di una comunità. Patriottismo della costituzione da una parte, patriottismo della tradizione dall’altra. Certo, i primi non possono negare importanza alla tradizione di un popolo, così come i secondi devono rispettare le regole sancite dalla Costituzione. Ma i primi affidano il patto tra i cittadini a quella carta, mentre i secondi la affidano alla storia e alla realtà di una nazione.
2.
Di conseguenza, l’amor patrio dei primi si identifica con la nascita dell’Italia repubblicana e si situa storicamente nel quinquennio che va dalla caduta del regime fascista alla promulgazione della Costituzione, passando per la liberazione e il referendum. Per i secondi, invece, l’amor patrio è una consonanza antica, coincide con l’essere italiani, indipendentemente dai regimi e dalle costituzioni; e dunque nell’amor patrio rientra la storia dell’Italia, il sentire comune, civile e religioso, la vita di un popolo e di uno Stato unitario. L’amor patrio dei primi quasi coincide con l’antifascismo; per i secondi, invece, è amore dell’italianità.
3.
Sul piano sociale, il legame civile è basato per gli uni sulla cittadinanza e le sue regole, mentre per gli altri è fondato sull’appartenenza e l’identità. Per i primi è un caso privo di significato che si nasca in un luogo anziché in un altro, quel che conta è decidere di vivere in quel luogo, accettando alcune regole. Per i secondi invece il legame con un luogo, un’origine, non è casuale e insignificante, ma è un segno del destino nascere in un luogo, in una famiglia, in una patria anziché un’altra.
Non è un discorso di astratti principi ma di concrete conseguenze: i primi ritengono che tra un connazionale e uno straniero non ci sono differenze, e che la solidarietà debba essere universale, a partire dai più lontani e bisognosi. I secondi, invece, ritengono che la solidarietà per essere concreta e incisiva, debba partire dal più vicino e poi allargarsi al più lontano; il famigliare, il concittadino, il connazionale, l’europeo, fino all’umanità.
4.
Nelle culture progressiste la cittadinanza nazionale è una variabile secondaria e subordinata del cosmopolitismo e dell’internazionalismo, dell’amore universale e globale. Quel che conta è essere cittadini del mondo; essere cittadini italiani è solo un caso specifico e relativo. Viceversa, per le culture della tradizione si è cittadini del mondo solo in quanto si è cittadini della propria patria, e dunque l’amor patrio è il fondamento vitale e concreto su cui basare il legame col mondo. Non siamo apolidi abitanti del pianeta, indifferenti al luogo che ci vide nascere e crescere; ma portiamo nella nostra anima e nella nostra vita, il segno di quel legame, di quella provenienza, di quella casa e di quelle comunità.
Le due diverse culture non devono disprezzarsi a vicenda, evocando fantasmi del passato e paure del Male Assoluto. Ma non possono combaciare e coincidere. La politica è proprio questo, passione comunitaria verso ciò che ci unisce e verso ciò che ci differenzia; la politica è la corda tesa tra conflitto e consenso, contesa e concordia, libertà di divergere senza farsi la guerra e raggiungere equilibri e coesistenze senza sognare pacificazioni definitive e unanimità impossibili. Per questo è giusto festeggiare insieme il 2 giugno, sentirsi insieme italiani, uniti ma consapevoli delle divisioni e delle diversità.
Oltre le frecce tricolori in cielo e i sermoni presidenziali in terra, c’è questa maturità e questa lealtà? Per non rovinare la Festa non diamo risposte.
MV, La Verità
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