30 anni dalla fine della DC. Le fatiche di Sisifo ed i topini al lavoro (Parte terza)
Ripartiamo dall’uomo che si trovò a gestire la fine della DC: Mino Martinazzoli.
In una celebre intervista a Barbara Palombelli su Sette, del 23 gennaio 2003, l’ex segretario così commentava:
«Non fummo tempestivi nel considerare che la fine del comunismo in Europa chiudeva, in Italia, una fase storica, quella della Dc condannata a governare… io pensavo che se ci avessero assistito generosità e coraggio, avremmo potuto essere, nella nuova stagione politica, di più noi stessi, meno il nostro potere e di più il nostro progetto». E aggiungeva: «Nella mia memoria e nella mia interpretazione, “Tangentopoli” e “Mani pulite” non sono la causa della fine. Ne descrivono soltanto il modo».
Moriva assai dolcemente da anni…
Nel suo ultimo libro, Pier Ferdinando Casini, afferma che non sia stata Tangentopoli a chiudere quella gloriosa storia “la Dc – scrive- moriva, assai dolcemente, da anni”.
Non concorda con questa posizione Paolo Cirino Pomicino, che controbatte così. “Non per vicende politiche, bensì giudiziarie, fummo travolti da Tangentopoli, come del resto tutto il Pentapartito”.
Sono invece molti gli storici ed i politologi schierati a sostegno della tesi che sposta molto all’indietro l’eziologia della crisi. Il crollo era così databile al 1979 con la tragedia Moro che paralizzò l’iniziativa Dc. Il partito divenne “non più protagonista” della terza fase morotea ma ostaggio dell’accordo contro la Dc.
La china discendente: dalla Renault rossa a Leone, Spadolini e Pertini
Da non sottovalutare poi la contiguità cronologica tra l’uccisione del Presidente Moro (9 maggio 1978) ed un altro evento che segnò significativamente la crisi della centralità democristiana. Parliamo dell’imposizione, da parte del Pci, delle dimissioni del Presidente della Repubblica Giovanni Leone (Giugno 1978), accusato nella questione Lockheed. Queste presunte accuse solo dopo si rivelarono false, ma rappresentarono un duro colpo per la direzione della Democrazia cristiana. A seguito di ciò venne promossa l’elezione del candidato socialista Sandro Pertini, che assunse rapidamente un ruolo di “interprete” delle esigenze pubbliche e si fece portavoce, più degli altri, dell’avversione nei confronti della classe dirigente e della gestione partitica.
La sua presidenza della Repubblica segnò ancora di più il declino della rappresentanza della Dc, già prima del crollo elettorale avvenuto nel 1983 .
Nè possiamo dimenticarci che, nel 1981, per la prima volta, si vide passare la Presidenza del Consiglio nelle mani di un laico: Spadolini. La DC ha perso così contemporaneamente le due più importanti cariche istituzionali e politiche della Repubblica.
Dall’ombra di Moro a Gladio
Gli anni ’90 si aprono con le elezioni amministrative del Maggio, che cominciano ad evidenziare un altro fenomeno straordinario ovvero il successo delle leghe autonomiste, a fronte del tendenziale calo delle formazioni di governo. Nello stesso anno due clamorosi “casi” contribuivano a complicare la vita del governo Andreotti: il ritrovamento, in un ex-covo milanese delle Brigate Rosse, di numerosi scritti e missive redatti da Aldo Moro e le rivelazioni sull’esistenza di una struttura clandestina in seno alla NATO, che inauguravano le lunghe polemiche su caso Gladio. Il Presidente Cossiga, giunto ormai alla fine del suo settennato da presidente della Repubblica, “esternava” nel 1991, con una serie di criticatissimi interventi, sulla necessità di riformare il sistema politico, suscitando dure reazioni nella stessa DC e le richieste di dimissioni anticipate da parte degli ex-comunisti del PDS.
I tumultuosi anni ’90: quell’opzione giudiziaria che diventa politica
Il 1992 fu un altro amplificatore delle gravissime difficoltà vissute in quel tumultuoso inizio degli anni Novanta dalla DC, a cominciare dall’inizio della stagione di “mani pulite”, con le inchieste sulle tangenti ai partiti (e la conseguente delegittimazione in termini elettorali per la semplicistica equazione vecchi partiti=corrotti).
Interessante al riguardo la registrazione delle dichiarazioni di Cirino Pomicino:”Ritengo che a stimolare la cosiddetta ‘opzione giudiziaria’ sia stata una parte preponderante del grande capitalismo italiano, che controllava anche la maggior parte dei giornali. Intanto il Pci non era riuscito a compiere la transizione verso un’alternativa di governo democraticamente credibile, e con la caduta del Muro di Berlino era rimasto orfano dei suoi appigli e dei suoi simboli”.
Manone e manine…
Sul tema da non dimenticare anche la puntuta e ruvida intervista che Giulio Tremonti rilasciò al Corriere della Sera il 23 luglio 2005. Si riferiva al celeberrimo incontro sul panfilo Britannia, attraccato a Civitavecchia, per ospitare un meeting esclusivo promosso da un gruppo di grandi finanzieri della City sul futuro economico dell’Italia. Non indifferente la sua collocazione temporale: 2 Giugno 1992. In tale sede, secondo quanto dice l’ex-ministro, si sarebbe stabilito un accordo tra il Gotha dei poteri nazionali ed internazionali ed i post comunisti, eredi diretti del Pci, sulla base del quale alla sinistra sarebbe andato il controllo economico e politico del Paese e ad una certa massoneria il controllo economico e finanziario. Forse non a caso, all’incontro seguì nel Settembre un attacco speculativo alla lira senza precedenti. La svalutazione della nostra moneta del 30% fu il prodromo di privatizzazioni seguenti che sarebbero state fatte a prezzi stracciati, con particolare beneficio della grande finanza internazionale e a discapito degli interessi dello stato italiano,dell’economia nazionale e dell’occupazione.
Bartholomew, ambasciatore degli Stati Uniti in Italia dal 1993 al 1997, in un’intervista alla Stampadel 2012, ci consegna un contributo non secondario, la cui interpretazione è tutta da decriptare: “La classe politica si stava sgretolando ponendo rischi per la stabilità di un alleato strategico nel bel mezzo del Mediterraneo”.
Ed a seguire rivendica il merito “di aver rimesso sui binari della politica il rapporto fra Washington e l’Italia”.
Il tramonto della Prima Repubblica
Nella DC si stava intanto esasperando anche lo scontro tra le correnti organizzate, come emblematicamente si notò in modo clamoroso durante le elezioni presidenziali del Maggio 1992, quando la Dc aveva come candidato ufficiale il segretario del partito Arnaldo Forlani ed invece risultò eletto Scalfaro, che si rivelò il “becchino” della cosiddetta prima Repubblica.
Mentre il sistema politico veniva sconvolto dalle inchieste, la situazione economica del paese continuava a peggiorare e, per salvare la situazione, a luglio il primo governo Amato (che esordisce nel Giugno ’92) dovette ricorrere a un espediente estremo per trovare risorse: un prelievo del 6 per mille dai conti correnti di tutti gli italiani. In quei mesi la mafia uccise prima il dirigente DC siciliano Salvo Lima e poi, in estate, i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. L’anno si concluse, come già scritto, con un attacco speculativo alla lira che minacciò di mettere di nuovo in grossa difficoltà l’economia del paese. Il 1993 iniziò con le indagini su alcuni dei leader DC più importanti: Giulio Andreotti, decine di volte ministro e presidente del Consiglio oltre che uomo simbolo del partito, venne accusato di crimini particolarmente odiosi, come l’associazione mafiosa e l’aver ordinato l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli. Arnaldo Forlani, ex segretario del partito, fu accusato di violazione della legge sul finanziamento ai partiti.
Il Mattarellum e la nemesi Berlusconi
Decisive furono alcune mosse della classe politica che, tentando di assecondare la rabbia crescente dei cittadini, di fatto andarono a distruggere le basi stesse della Prima Repubblica. Dopo due anni dall’insediamento delle Camere, il parlamento fu sciolto, ufficialmente per due motivi: la presenza massiccia di corrotti (ma non c’era neanche una condanna passata in giudicato) e la nuova legge elettorale. Il Mattarellum, sistema elettorale approvato dalle Camere nel 1993, aprì la strada al bipolarismo e alla Seconda Repubblica e consegnerà la prima vittoria nelle urne al Cavaliere. Siamo nel 1994.
Niente sarebbe più stato come prima. I cattolici in politica non sparirono. Semplicemente si sparpagliarono, a destra, a sinistra e al centro.
Il masso di Sisifo ed i topini al lavoro
L’intervista di Martinazzoli da noi citata in esordio, intitolata «Era meglio morire democristiani?», si concludeva con una nota amara e quasi profetica: «Quando il problema si dimostra essere quello di tornare a difendere la complessità, la pazienza, la fatica della democrazia, ecco che tutti i topini si danno un gran daffare per aiutare la semplificazione del comando e la tranquillità del potere».
A ciascuno di noi il compito di dare all’immagine dei topini la corretta interpretazione.
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