30 anni dalla fine della Democrazia Cristiana. C’è ancora un domani? (Parte quarta)
Quello che si dice oltre Tevere
Completato il quadro storico sulla fine della DC, guardiamo al presente ed alle prospettive future. Non un’impresa facile.
Il Card. Parolin, segretario di Stato della Santa Sede, nelle sue recenti interviste, non sembra aprire alla ricostituzione di una soggettività unitaria dei cattolici italiani in politica, più preoccupato di creare una cornice che ne ricomprenda le fondamenta culturali e pre – politiche, a nostro parere molto compromesse: «Significherebbe, in positivo – scrive – la visibilità dei cattolici in tutti gli ambiti della vita pubblica e privata. Così potrebbero essere quel ‘fermento ‘ indicato dal Concilio. Non dobbiamo pensare di certo a riproporre gli schemi del passato, ma a una presenza diffusa che, a partire dall’ambiente sociale e culturale, faccia emergere le istanze loro proprie: istanze che non sono esclusive dei cristiani ma riguardano l’uomo in generale, di ogni luogo e tempo”.
Percorso della possibilità
Molto più articolata l’opinione di Marco Follini, che esprime nel suo libro Democrazia Cristiana. Il racconto di un partito, Sellerio editore:
“L’unità politica dei cattolici non deve essere un dogma, una pregiudiziale o un traguardo. Da un approccio culturale di riscoperta dei valori politici che hanno ispirato l’azione della DC possono nascere le ragioni di un impegno, con uomini e donne che se ne facciano interpreti e testimoni, con proposte e programmi da sottoporre agli elettori”. Come dire, non l’approdo automatico ad un partito. Rispetto al punto di vista di Parolin, l’ex-segretario UDC delinea un “percorso in fieri della possibilità”, che non esclude alla fine la verifica elettorale.
Minoranza attiva : in politica senza distintivi
In una sua intervista a Famiglia cristiana del 2013,Padre Bartolomeo Sorge, gesuita e politologo, chiudeva a priori, immaginando un modo nuovo di presenza politica, aperta, ispirata alla dottrina sociale della Chiesa e alla Costituzione, però con una forte autonomia laicale e una sicura indipendenza nei confronti della gerarchia, senza collateralismi nuovi. E sottolineava con estrema chiarezza il perimetro di tale iniziativa: “Questo modo nuovo non dev’essere necessariamente il partito, può essere una minoranza attiva e capace di incidere, di portare avanti il nuovo, salvaguardando la presenza dei veri partiti democratici”.
Per capirci: apologia di quei politici, anche parlamentari e ,soprattutto esponenti di governo, senza distintivi. Una sorta di cattolico in politica di natura apolide, categoria che non è mancata, anche ad altissimo livello, nei governi degli ultimi vent’anni, quasi sempre in esperimenti “tecnici”.
Palla al centro
Ci siamo chiesti il perchè di questa ragionata chiusura ad un nuovo partito dei cattolici. Nella stessa intervista Sorge lo spiega in modo netto: ”I cattolici stavano uniti per motivi storici, non per motivi di fede: l’opposizione al comunismo e l’instaurazione in Italia della democrazia dopo il fascismo”.
Ed ecco la sentenza di Padre Sorge: “Il vero problema non è la fine della Dc, ma il fatto che i cattolici non hanno ancora trovato il modo di rendersi presenti in politica nella società pluralistica e post ideologica”. Così la palla ritorna direttamente al centro del campo.
Ed al centro, lontana dalle due metà di campo, la riporta il Prof. Zamagni, già presidente della Pontificia Accademia delle scienze sociali, che in un testo del 2020 teorizzava il pieno recupero dell’ equidistanza dei cattolici: “Lavoro, famiglia, scuola, pace ed Europa – scriveva – nella convinzione che gli attuali poli sono inadeguati a incarnare le istanze dei cattolici”, Poi aggiunge: “lo sanno anche i sassi che ormai in Italia abbiamo bisogno di dare vita a un soggetto politico di centro, moderato, autonomo sia dalla destra sia dalla sinistra”.
Fine del bipolarismo mite?
Passando a letture più strategicamente orientate, ci sembra interessante esaminare un incrocio decisivo fra storie neo o post-democristiane ed alcuni dei protagonisti della politica italiana degli ultimi decenni. La seguente ricostruzione storica di Rocco Buttiglione getta luce sul passato prossimo e spiega molto del presente: “Ho garantito per Silvio Berlusconi quando Forza Italia chiese, e poi ottenne, di entrare nel Ppe. Avevamo un progetto comune e possiamo dire di aver fallito insieme se quella idea di dar vita a un bipolarismo ‘mite’ alla tedesca, che vive di reciproca legittimazione e regole comuni, non è andata in porto”. Per esplicitare si tratta dell’idea di rendere la cultura democratico cristiana e popolare europea polo autonomo essa stessa, come alternativa moderata e centrista alle sinistre.
“Accadde – prosegue il professore – che non riuscii nell’intento di portare dentro questo progetto tutto il partito popolare, ma solo una parte. E questo ha molto indebolito la nostra forza contrattuale (… )”. In pratica, potremmo riassumere così: invece di convergere Berlusconi sul progetto di Buttiglione fu il primo ad attrarre questa porzione di neo-democristiani.
Il politologo Francesco Bonini, rettore della Lumsa ci spiega perchè Berlusconi non è mai stato assimilabile alla DC: “Forza Italia aderisce al Ppe come approdo di legittimazione, vincendo non poche diffidenze europee e nazionali. Nella sua proposta politica – prosegue Bonini – ci sono poi pezzi di altre culture politiche, soprattutto quelle del pentapartito a propulsione craxiana”.
Per governare ci vogliono ancora i democristiani…
In modo ciclico, ma ineludibile, continuano ad alternarsi posizioni opposte dinanzi al bivio della collocazione politica degli eredi DC.
Giorgio Merlo su Formiche (17/01/2024 ) evoca “un luogo politico in grado di declinare una vera e autentica politica di centro”. Quindi non collocato né in una sinistra radicale e massimalista nè in una destra anti europea e sovranista o, peggio ancora, in un populismo anti politico, qualunquista e demagogico. Neanche troppo velato lo “strabismo” e l’opzione per il centro-sinistra.
Gianfranco Rotondi, fondatore di una delle tante sigle che si rifanno alla Dc, ora parlamentare di FDI, propaganda una sua “variante”, riassumibile nella seguente espressione:”Per governare, ci vogliono i democristiani. C’è poco da fare”. E ricorda al riguardo la tesi di Pinuccio Tatarella, secondo il quale “Il 65% degli italiani non è di sinistra”. Per Rotondi questo porta a un’altra considerazione, sempre mutuata dallo scomparso leader di Alleanza Nazionale : “Non si può governare solo con l’elettorato di destra che, per quanto in crescita, non è sufficiente. Occorre tenere assieme tante sensibilità. I democristiani in qualche modo rappresentano un punto di sintesi”.
“Mio compito – chiosa Rotondi – anche in seno a questa maggioranza, è quello di fare in modo che il seme e la cultura democristiani continuino a essere vivi”.
Anche in questo caso l’opzione è quella di essere democristiani “in trasferta”.
Non a caso Giorgia Meloni in un indirizzo di saluto al convegno del movimento di Rotondi, tenutosi in autunno a St. Vincent, scriveva:”La fine della Prima Repubblica ha decretato anche la fine della Dc come partito. Un passaggio storico, che ha chiuso una fase storica irripetibile e ha chiesto ad un intero blocco sociale di decidere da che parte schierarsi. (… ) Oggi il centrodestra aspira ad essere la sintesi di tutte le idee maturate nell’alveo della tradizione conservatrice e cristianoliberale”.
Giunti alla fine di questa complessa analisi, ci prepariamo per la quinta ed ultima parte: prendere posizione e dire la nostra, sempre da battitori liberi.
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