Ennesimo femminicidio.. cosa fare?
Ennesimo femminicidio, questa volta in provincia di Firenze.
Il caso
Una giovane donna, mamma di 2 ragazzi, Klodiana Vefa è stata uccisa con un colpo di pistola dal marito, Alfred Vefa, dal quale si stava separando. Anzi, in Albania (ambedue avevano origini albanesi) risultavano già divorziati, ma causa burocrazia, la sentenza non era stata ancora trascritta in Italia. Vivevano sotto lo stesso tetto con i figli di 17 e 14 anni e c’era tensione in casa.
Tensione causata esclusivamente dall’uomo che non si rassegnava alla fine del matrimonio.
Dopo l’ennesima discussione, l’uomo ha estratto una 7,65 e ha fatto fuoco sulla giovane ex moglie.
Klodiana è morta sul colpo, e le autorità intervenute non hanno potuto fare altro che constatarne il decesso. Dell’assassino invece si sono perse le tracce. Al momento risulta irreperibile.
Una strage infinita…..
Ennesimo femminicidio, dunque. Ennesima storia d’amore che diventa una trappola mortale per la donna quando il sentimento finisce.
Le cronache ormai sono piene di questi fatti terribili cui assistiamo con rassegnazione impotente e rabbiosa senza che si intraveda la fine. E dire che i dati sembrano incoraggianti (si fa per dire!) se è vero che il fenomeno è in diminuzione dal 2002, sebbene l’Italia risulti sempre nelle prime posizioni in Europa in questa atroce classifica. E comunque, anche una sola donna uccisa, è sempre troppo. E’ sempre intollerabile. E’ sempre una tragedia umana, individuale e collettiva insieme.
Dati che fanno paura
Nei primi 8 mesi del 2023 i femminicidi sono stati 84, 69 dei quali in ambito domestico di cui 44 uccise dai rispettivi partner/ex partner. Numeri da brividi che fotografano una situazione non più tollerabile.
Uomini gelosi, uomini che non si rassegnano alla fine di una relazione, uomini che “o sei mia o non sarai di nessun altro”.
Una dinamica complessa e variegata quella che porta all’uccisione di compagne o ex compagne che vede ancora oggi l’opinione pubblica divisa sulle responsabilità e sui rimedi.
Cosa ne pensano gli italiani….
Il 46% delle persone interrogate in merito da Youtrend, ha detto di ritenere necessaria una fattispecie penale “ad hoc” che punisca chi si macchia di questi terribili omicidi. Il 48% , invece, che ritiene il femminicidio una odiosa “species” del generale “genus” omicidiario. Quindi non vi sarebbe bisogno di una calibrazione codicistica specifica (con conseguente diversificazione delle pene, si immagina).
Sulle responsabilità, sempre il medesimo sondaggio dà conto di un 44% di intervistati secondo il quale ogni uomo dovrebbe sentirsi responsabile di quanto avviene, mentre il 50% si dice in disaccordo puntando sulla responsabilità personale e non sociale di queste tragiche morti.
Azzardiamo una lettura
Non è facile azzardare una lettura qualificata degli eventi che richiederebbe competenze molto specialistiche, ma indubbiamente – sebbene sia azzardato concordare con quel 44% – un ragionamento di ordine generale si può fare. Premessa la responsabilità personale in campo penale, questo ragionamento probabilmente ci porterebbe ad analizzare il cambiamento nelle dinamiche dei rapporti tra i generi in una società in rapido cambiamento. Una spinta molto forte alla doverosa emancipazione delle donne non è stata accompagnata da un percorso altrettanto forte di metabolizzazione da parte degli uomini, che spesso reagiscono con aggressività e violenza alle istanze di libertà femminili.
Quali soluzioni?
Si badi bene, ciò non giustifica minimamente le violenze – fisiche o psicologiche – ma può offrire una chiave di lettura per individuare delle possibili soluzioni che debbono necessariamente essere interdisciplinari e possibilmente a lungo termine.
Non si ritiene che un aggravamento repressivo, sempre possibile, da solo possa far fronte, in chiave di deterrenza a questo odioso crimine. Proprio per le sue implicazioni meta-giuridiche.
Premeditazione e delitti d’impeto
Al netto di specificità patologiche, per cui altri reati-allarme come ad esempio lo stalking, le molestie, le minacce, ecc. conducono all’omicidio come epilogo, spesso ci troviamo di fronte a delitti d’impeto. Omicidi cioè che non maturano come tappa finale anticipata da condotte scelte, volute e perseguite, ma maturate come immediata reazione a un qualcosa che viene erroneamente (si intende) percepito come una provocazione.
Questa evidente mistificazione psicologica nella mente dell’assassino, intesa come sproporzione fra (percepita) offesa e reazione, ci obbligano a un’analisi più ampia e profonda che non è talvolta necessaria in altri tipi di crimini. Certamente si tratta di crimini che ci lasciano – se possibile – ancora più attoniti. Perchè danno il senso di un “demone” che potenzialmente giace in ognuno di noi.
Difficoltà di resilienza.. Incapacità di accettare il NO
Il piano è completamente diverso e ben si comprende come mai il diritto non possa che arrivare dopo, a complemento, ma non può esser la sola soluzione. Fenomeni di tal genere, ci interrogano sulla nostra capacità di reagire “al NO della vita”, al cambiamento anche repentino delle circostanze previste. A relazioni che possono cambiare senza lasciare il tempo di abituarsi. In definitiva, l’essere umano, a dispetto dei tanti slogan motivazionali che circolano, non pare dotato dunque di quella necessaria resilienza e flessibilità che consente di incassare il NO e magari farne tesoro. Al contrario, tende a reagire con violenza e aggressività.
Una dinamica questa che, invero, ha a che fare non solo con i rapporti di coppia, ma più in generale con le relazioni interpersonali. Il tradimento delle aspettative viene considerato un affronto personale di cui gli altri, a maggior ragione gli affetti più cari, divengono incolpevoli capri espiatori.
Difficoltà oggettive e colpe soggettive
Si intuisce che trattasi di problemi profondi le cui soluzioni non saranno a breve termine. Inutile illudersi a riguardo. Anzi, occorrerà lavorare per arginare un fenomeno che, viste le dinamiche attuali, potrebbe persino peggiorare.
Poi, a complicare le cose, ci sono le lentezze del sistema, la burocrazia e l’inefficienza di chi dovrebbe garantire una protezione a queste persone in pericolo, e invece non lo fanno. Su questo si può e si deve fare qualcosa a breve, brevissimo termine.
Che cosa ha fatto il legislatore e cosa potrebbe/dovrebbe fare
Dal punto di vista legislativo, invero, molto è stato fatto e ed è al vaglio parlamentare un nuovo intervento volto a implementare le attività preventive. Dall’aggravante di femminicidio all’aumento di pena in caso di donna in gravidanza ecc.
Ma occorre fare di più. Ad esempio, accelerare sulla forma di protezione immediata che scatti al momento della denuncia. La lentezza che passa dalla denuncia all’effettivo svolgimento di attività repressiva, scoraggia tutte quelle donne che vorrebbero rivolgersi alle Istituzioni ma spesso le trovano “Impreparate”. Insomma, non possiamo più assistere impotenti all’uccisione di donne che avevano avuto il coraggio di denunciare e che sono state uccise “nelle more del procedimento”. Corsia preferenziale nella tutela, dunque. A maggior ragione, quando sono coinvolti figli minori.
Formazione come chiave di volta
Inoltre, la chiave di volta continua a essere la formazione permanente di tutti gli operatori che si trovino innanzi a questo tipo di fenomeni. Poliziotti, magistrati, avvocati, operatori sociali debbono sapere di cosa si parla . Anche in questo caso, molto si sta facendo, ma bisogna necessariamente moltiplicare gli interventi e le risorse.
Poi, occorre una forte implementazione dei centri antiviolenza da potenziare, moltiplicare e dotare di personale qualificato.
Nè possiamo dimenticare, naturalmente, un lavoro strutturalmente di più ampio respiro con percorsi di formazione psicologica specifica per uomini e per donne che parta dalle famiglie e dalle scuole.
Realisticamente, è una guerra …. lunga
Dobbiamo metterci in testa che quella contro la violenza intrafamiliare è una guerra e come tale va combattuta, senza cedere a soluzioni di corto respiro che danno l’impressione di facili vittorie smentite dai fatti e dai numeri.
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