Apolidia, questa sconosciuta.
Possibilità di integrazione
il Tribunale la riconosce e una ragazza ora può curarsi.
Status di apolide: il caso di una cittadina nata in Italia da genitori bosniaci
La ragazza, di origine bosniaca, ha gravi problemi di salute.
In Italia la popolazione senza patria conta 822 persone riconosciute, ma si stima che siano dalle 3.000 alle 15.000
20 dicembre, 2019.
Un’interessante sentenza del Tribunale di Roma riconosce lo status di apolide a una ragazza a nata In Italia. Il Tribunale ritiene dirimente il fatto che la ricorrente sia nata dopo il 6 aprile 1992 e prima dell’entrata in vigore della Costituzione bosniaca del 1995, escludendo inoltre la possibilità che la ricorrente possa avere acquisito la cittadinanza bosniaca ius sanguinis o per altra causa.
Affetta da una patologia neurosensoriale che l’ha resa sordomuta, dato che si tova in una posizione irregolare sul territorio italiano, non poteva accedere alle cure mediche, nonostante avesse frequentato regolarmente in Italia la scuola fino all’istituto speciale per sordomuti.
Genitori, nati nell’ex Jugoslavia ma da anni in Italia, sono apolidi
La ragazza, oramai non ha più i requisiti per ottenere la cittadinanza italiana, ma nemmeno quelli per la cittadinanza della Bosnia Erzegovina. Il Tribunale ha quindi accolto i presupposti per il riconoscimento dello status di apolide ai sensi della convenzione di New York del 1954, in quanto non è né cittadina italiana né possiede i requisiti per acquistare la cittadinanza bosniaca materna.
La sentenza è molto importante dato che che evidenzia la questione annosa degli apolidi in Italia
Sono “i senza patria”, inseriti in un limbo burocratico da cui spesso è difficile se non impossibile uscire.
Molti degli apolidi residenti in Italia, di etnia Rom, provengono dai paesi dell’ex Jugoslavia. Spesso vivono in Italia da due o tre generazioni, ma in quanto figli di apolidi senza documenti non riescono a vedersi riconosciuto uno status legale.
Gli altri sono originari perlopiù dei paesi dell’ex Unione Sovietica. Si può essere senza cittadinanza per essere figli di apolidi, e per non potere ereditare la cittadinanza dei genitori; anche per motivi discriminatori. Infine alcuni sono fuggiti da guerre e occupazioni, o sono nati in paesi che oggi non esistono più, come la Jugoslavia o l’Unione Sovietica.
L’Italia è uno dei quattordici paesi ad avere una disciplina che regola l’acquisizione dello status di apolide, per via amministrativa o per via giudiziaria
Per richiedere il riconoscimento per via amministrativa, bisogna presentare una domanda corredata dall’atto di nascita e da un documento che provi la residenza della persona in Italia.
Il procedimento potrebbe essere semplice, ma solo per chi è in possesso dell’atto di nascita o di un permesso di soggiorno. In mancanza dei documenti suddetti rimane aperta la strada del riconoscimento per via giudiziaria. In questo caso, il soggetto deve rivolgersi un avvocato e chiedere il riconoscimento a un giudice. Nonostante questa procedura sembrerebbe semplice tanto da consentire anche a chi non ha i documenti necessari di richiedere lo status di apolide, serie difficoltà non mancano. Secondo i dati ufficiali, attualmente in Italia la popolazione apolide conta 822 persone formalmente riconosciute, ma si stima che vi siano dalle 3.000 alle 15.000 persone apolidi o a rischio di apolidia che al momento vivono nel Paese.
Il Tribunale di Roma, con sentenza del 12 gennaio 2024 ha riconosciuto la cittadinanza italiana a una ragazza apolide di fatto nata e residente in Italia da 30 anni ma priva di documenti di identità.
11 Maggio 2024
Un altro caso è quello d della ragazza di 30 anni nata in Italia da genitori di nazionalità filippina. Ma il padre non ha proceduto alla registrazione della nascita presso l’ufficio dello stato civile del Comune. La madre, dopo avere scoperto la mancata registrazione, decide di trasferirsi in un’altra città. La ricorrente, priva di documenti, cresce come se fosse italiana ed è solo grazie al supporto di un’assistente sociale che comprende la sua situazione e riesce a ottenere la registrazione, eppure tardiva.
Quando la ragazza ha bisogno e richiede il passaporto, scopre che la nonna aveva registrato un atto di nascita nelle Filippine
Questo fatto un ulteriore problema, data la comparsa di due atti di nascita contrastanti. Occorre annullare l’atto di nascita filippino.
Ma In assenza dei documenti non può recarsi nelle Filippine mentre l’Ambasciata rifiuta di riconoscerle la cittadinanza filippina.
La ragazza è di fatto italiana: è nata e cresciuta in Italia e non ha mai lasciato il territorio nazionale. Inoltre, al compimento dei 18 anni, aveva provato a chiedere informazioni sulla possibilità di ottenere la cittadinanza italiana, ma il Comune di residenza le aveva detto che la documentazione che possedeva non era sufficiente. Presenta al Tribunale di Roma richiesta della cittadinanza italiana e, in via subordinata, dello status di apolidia.
Il Tribunale ha riconosciuto la fondatezza della domanda di cittadinanza italiana anche oltre il termine ordinario di un anno dopo la maggiore età, in applicazione dell’art. 33 del D. L. 69/2013, in quanto il ritardo nella presentazione della domanda non è dovuto a inadempimenti della ricorrente.
Che in realtà aveva provato a presentare domanda di cittadinanza, reiterando il tentativo anche successivamente all’ottenimento della documentazione richiesta da parte del Comune
Il Tribunale ha accolto il ricorso e riconosciuto il diritto della ricorrente di ottenere la cittadinanza italiana, il 12 gennaio 2024.
Il Tribunale di Milano riconosce integrazione sociale. 8 Agosto 2024
Donatella Ecolano.
Una donna di etnia Rom, che è nata nel Paese ma non ha mai posseduto alcuna cittadinanza, ha ottenuto il riconoscimento dello status di apolide. Questo provvedimento non solo rappresenta un evento raro, ma fornisce alla donna diritti fondamentali quali il permesso di soggiorno, l’accesso all’istruzione, l’assistenza sanitaria e la pensione, aspetti cruciali per un’esistenza dignitosa.
Un percorso di vita travagliato
La storia di questa donna, di 31 anni, si intreccia con quella della propria famiglia, che ha vissuto l’orrore della guerra nei Balcani. I genitori, fuggiti da Mostar durante il conflitto nei primi anni ’90, si trovavano in Toscana quando la giovane è nata. La difficoltà della situazione politica in quell’epoca ha reso impossibile il riconoscimento della cittadinanza al momento della nascita. In effetti, meno di un anno dopo la nascita della ragazza, l’ex Jugoslavia ha vissuto le sue fratture, dando origine al nuovo stato della Bosnia-Erzegovina.
Non avevano la possibilità di iscrivere la figlia come cittadina bosniaca, e lei, cresciuta in un contesto di precarietà, non ha mai avuto un legame reale con il Paese d’origine della sua famiglia. “Non ho mai visitato la Bosnia,” ha dichiarato la donna durante l’istruttoria al Tribunale. I suoi genitori si sono separati quando lei era ancora giovane, e da quel momento non ha più avuto notizie del padre, mentre la madre vive in Germania, in un luogo di cui non conosce nemmeno il nome. L’unico legame che ha con lei sono le telefonate occasionali.
Le difficoltà legate all’identità
La mancanza di un’identità giuridica ha avuto un impatto significativo sulla vita della giovane. Crescendo senza la protezione dei diritti derivanti dalla cittadinanza, ha dovuto fronteggiare una serie di sfide quotidiane. Senza un documento di identità, la sua situazione lavorativa e sociale si è fatta ancora più complessa, limitando tutte le possibilità di accesso ai servizi essenziali e riducendo le opportunità di integrazione. Questo scenario ha spinto la donna a cercare assistenza legale, culminando nella richiesta di riconoscimento come apolide.
La nuova vita a Milano.Famiglia e integrazione
Dopo il matrimonio, la donna ha messo su famiglia, diventando madre di quattro bambini. A differenza di quanto avviene nelle tradizionali comunità rom, la giovane ha scelto di non vivere in un campo nomadi, ma in un appartamento concesso dal Comune di Milano. Questa scelta ha rappresentato un passo fondamentale verso un processo di integrazione. I bambini frequentano la scuola locale e, già a loro giovane età, hanno l’opportunità di costruire un futuro differente dal passato dei loro genitori.
Il marito, impegnato in una carriera lavorativa, contribuisce in modo significativo al sostentamento della famiglia. Le sue fatiche quotidiane sono un chiaro segnale della volontà di creare una vita dignitosa e stabile per i propri figli, portando avanti i valori di responsabilità e impegno.
L’assegnazione di un tetto sicuro e il supporto della comunità locale hanno avuto un impatto positivo sulla vita della donna e della sua famiglia, offrendo loro la chance di un’integrazione piena e produttiva
Questo caso, pur essendo isolato, rappresenta un punto di riferimento per molte famiglie in situazioni simili. La giovane donna ha dimostrato che, nonostante le avversità, è possibile costruire una vita dignitosa e integrata nella società italiana, mostrando come l’attenzione delle istituzioni possa realmente cambiare le vite delle persone vulnerabili.
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