7 ottobre 2023- 7 ottobre 2024. La pace è ancora lontana
7 ottobre 2024, tempo di ricordo e di dolore. Dolore per le vittime del feroce attacco di Hamas al rave party di un anno fa.
Rabbia per tutte le 695 vittime innocenti (tra cui 36 bambini) che persero la vita dal vile attacco, oltre alla morte di 373 membri delle forze di sicurezza e 251 ostaggi, molti ancora nella mani di Hamas
Oggi a un anno esatto, è la preoccupazione per il futuro che sta prevalendo. Perché da quello sciagurato giorno di un anno fa, non solo la pace è lontana, ma nuovi scenari, ancor più cruenti si stanno configurando in Medio Oriente.
Il mondo dal 7 ottobre scorso è stato testimone dell’escalation di violenza in Medio Oriente. La immediata rappresaglia di Israele verso Hamas ha portato come conseguenza la completa distruzione della striscia di Gaza. Un attacco che all’inizio ha risuonato come la difesa del suolo di Israele, ma che in seguito si è rilevato come “un eccesso di difesa”, soprattutto a livello mediatico globale.
Un boomerang che ha trasformato l’aggredito in aggressore, il quale si è autoconvinto di giustificare lo scempio dietro le parole “usano i civili come scudi umani”.
Ma questo non ha autorizzato Israele a colpire indistintamente civili e militari
17.000 bambini sono stati uccisi a Gaza, più di 41.000 persone sono cadute sotto i colpi di artiglieria israeliana. Una tristezza infinita.
Distrutto Hamas, in maniera totale e schiacciante, il conflitto si è spostato a Nord di Israele. Le truppe israeliane, con Gaza ancora fumante, si sono ammassate al confine con il Libano, sede degli Hezbollah. Una scarica di missili viene fatta cadere su Beirut. Anche in questo caso, nessuna distinzione tra vecchi, uomini, donne e bambini.
L’obiettivo è distruggere l’establishment del comando Hezbollah, in un guazzabuglio che non distingue il buono da cattivo, il terrorista dall’uomo comune, il militare dall’uomo della strada
Un sussulto talvolta nella notte squarcia i cieli di Tel Aviv, Haifa e Tiberiade, in una sorta di terrificanti fuochi di artificio che fanno incontrare i missili iraniani con la difesa Iron Dome. Una invenzione che davvero ha fatto finora la differenza. Che davvero, nonostante allarmi e precipitose fughe della popolazione nei rifugi, ha salvato case, strade, industrie, ospedali, impianti elettrici e idrici.
Ma la supremazia tecnologica di Tel Aviv ha avuto il più fulgido esempio nella manomissione di telefoni cellulari e cercapersone dei nemici, facendoli esplodere nelle mani dei capi delle milizie avversarie.
Qui sta la grandezza di Israele e la sua capacità di colpire, non alla rinfusa, ma con clinica precisione
Atti senza dubbi ingegnosi che hanno evidenziato come l’intelligenza diventi più efficace ed efficiente della forza.
Il 7 ottobre di quest’anno si ricorda un anno di guerra. Ma non c’è traccia di un segnale di pace. Israele procede spedita avanti con il suo programma di guerra.
Anzi, si erge a paladino della nostra civiltà, baluardo della cultura occidentale, stoico difensore della libertà e dei diritti umani. Un popolo in questo momento agnello sacrificale sull’altare di quell’Occidente che sta a guardare un Medio Oriente in disfacimento, diviso fra sciiti e sunniti, limitato in dettami di una religione retrograde e antidemocratica, avulso da ogni diritto liberale.
Nessuno che spieghi al popolo eletto che non basta eliminare fisicamente i leaders nemici, senza procedere a estirpare quelle che sono le ideologie che li rappresentano
Perché puoi eliminare anche un capo delle milizie, ma un altro è in formazione e ancora un altro e ancora un altro, in un’infinita catena di odio e di rancore.
Solo andando alla radice ideologica puoi riuscire a modificare una identità politica.
Oggi, il giorno dopo delle celebrazioni del 7 ottobre ci rendiamo conto che la pace è ancora lontana. Netanyahu qualche settimana fa a New York ha sfidato l’ONU additandolo “palude antisemita”.
Dimentica che proprio l’ONU aveva promosso 80 anni fa lo Stato di Israele, che lo ha a più riprese difeso, inviando i caschi blu, ancora presenti in diverse postazioni a nord con il Libano e a Gerusalemme
E sicuro delle sue affermazioni, Bibi, uscito dal palazzo di vetro, ha dato l’ordine di un nuovo attacco su Beirut. Ma ha fatto molto di più di lanciare missili e bombe: è andato a elidere il potere dell’ONU limitandone il ruolo da mero spettatore e neanche tanto gradito.
Nessun contatto, quindi, nessun dialogo, nessuna forma di compromesso
Si va avanti nel conflitto e si procede spediti a un faccia a faccia con l’Iran. La diplomazia è sparita, nel baratro, fra lo smarrimento e lo sconcerto generalizzato.
Bibi ha già dichiarato che non si fermerà, ma anzi, riafferma il ruolo di Israele nelle “sua guerra di civiltà per difendere l’Occidente”. Non si chiede neanche se l’Occidente vuole essere difesa con questa guerra cruenta, oppure procedere con altre modalità che non prevedano quello di pagare il prezzo, umano e morale, che il leader di Israele sta imponendo al Mondo.
La feroce reazione di Israele, in realtà, sta scavando un solco tra Medio Oriente e Occidente, che difficilmente potrà essere ricolmato.
Un danno che coinvolge Paesi, Stati, Nazioni ma anche le grandi organizzazioni internazionali come l’ONU, nate per sostenere la pace che si trovano esautorate da qualsiasi potere
Meri scheletri vuoti della diplomazia internazionale.
Israele e i suoi sostenitori respingono qualsiasi critica al Governo, accusando tutto e tutti di antisemitismo, anche chi antisemita non lo è mai stato. Diventa antisemita chiunque cerchi di far comprendere che un conflitto in grande scala non porta giovamento a nessuno, all’Occidente, come all’Oriente, al Sud, come al Nord.
A Bibi hanno fatto presente ciò all’ONU e gli è stato puntualizzato dagli Stati Uniti, ad oggi il maggiore alleato di Israele. Ma niente.
Basta guerra, è necessario intervenire per la pace
Anche se questo significa sacrificare parte della propria sovranità o del proprio territorio. Questo chiede la comunità internazionale dopo il primo anniversario di guerra. Con buona pace dell’Iran e di Netanyahu.
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