ATTO VOLUTO?

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ATTO VOLUTO?

La legge costituzionale n.1/1989 impone l’avviso ai membri del Governo di essere sottoposti ad indagine e l’art. 6 prevede che il Procuratore “omessa ogni indagine” trasmetta al Tribunale dei Ministri..

Letteralmente la norma prevede che “Il procuratore della Repubblica, omessa ogni indagine, entro il termine di quindici giorni, trasmette con le sue richieste gli atti relativi al collegio di cui al successivo articolo 7, dandone immediata comunicazione ai soggetti interessati perché questi possano presentare memorie al collegio o chiedere di essere ascoltati”

Il tenore letterale della norma, dunque, offre obiettivamente una spalla a chi in queste ore parla di “atto dovuto” in merito alla all’iscrizione nel registro degli indagati del premier Giorgia Meloni, dei ministri Nordio e Piantedosi, e del sottosegertario Mantovano per la nota vicenda Almasri. Ma siamo proprio sicuri che sia così? O che invece, dietro la forma impeccabile non si nasconda una sostanza diversa?!

Il pericoloso criminale internazionale Osama Almasri, è stato raggiunto da un mandato di arresto internazionale spiccato dalla Corte Penale Internazionale per vari reati molto gravi, proprio quando, dopo aver girovagato del tutto libero e impunito per 12 giorni e in tre paesi diversi, sbarca in Italia. Non appena mette in piede nel Belpaese la CPI si sveglia da torpore è emette il mandato che dovrebbe essere eseguito nei paesi aderenti. Il Governo, operando una valutazione politica, vista la pericolosità del soggetto, decide di allontanarlo immediatamente dal territorio nazionale e di rimpatriarlo in Libia

La denuncia dell’avv. Li Gotti parte da questi fatti e lo stesso legale, un tempo sottosegretario del Governo Prodi in quota Italia dei Valori, ravvisando “elementi di reità”, decide di compiere un gesto che lui reputa “doveroso” ma che doveroso non è affatto. Stupisce che tra tanti cittadini ligi alle regole internazionali, casualmente, proprio un uomo vicino a Romano Prodi abbia sentito l’impellente dovere di denunciare tutto e tutti. Si sa, quando la Giustizia chiama, Li Gotti risponde. Ieri peraltro, raggiunto telefonicamente da una Radio per un’intervista, ha dato l’impressione di essere assai confuso rispetto all’intera vicenda. Il che alimenta e aumenta i sospetti.

In ogni caso cosa fa il buon Li Gotti? Spende un intero week end per confezionare una denuncia-querela a mezzo Governo, fondata interamente su fatti appresi dalla stampa stampa. E da lì l’azione fin troppo tempestiva della Procura capitolina

Ora, qualcuno si aspetta che la gente creda che tutto questo sia una coincidenza, uno strano gioco di fortuna, in cui il cuore del Governo viene denunciato da un uomo vicino al Deus ex Machina della sinistra, e che tutto questo sia frutto di una casuale esigenza di giustizia. Certo, poi ci chiederanno anche di credere che gli asini volino è che presto saremo invasi dai rettiliani.

La maggioranza ha fatto quadrato intorno agli indagati, Giorgia Meloni con un capolavoro comunicativo, in un video brucia la notizia e prende netta posizione sulla vicenda rivendicando la difesa dell’interesse nazionale; l’opposizione si getta strumentalmente sulla notizia oscillando tra il garantismo interessato e vittimistico di Matteo Renzi e il giustizialismo sempreverde del Movimento Cinque Stelle, con una serie di gradazioni intermedie tra gli estremi. Tutti quanti accomunati dall’accusa a Meloni di gridare al complotto.

La vicenda come dicevo è complicata. Le domande sono tante e le implicazioni ancora di più, senza bisogno di evitare cospirazioni.

Sulla questione, illuminante è il parere di Giandomenico Caiazza ex Presidente dell’Unione delle Camere Penali e candidato con la Lista Stati Uniti d’Europa alle ultime elezioni europee (quindi fonte non certo sospetta per essere filo-meloniana). Il legale in un post dichiara che non esiste alcun atto dovuto sganciato da un giudizio di non manifesta infondatezza dell’accusa (ricordate?.. la denuncia su fatti appresi dalla stampa cui la Procura capitolina va dietro pedissequamente quasi scodinzolando) e questo secondo l’esimio legale vale anche per i reati c.d. ministeriali.

Dunque, pur criticando l’operato del Governo da un punto di vista politico,  la vicenda giudiziaria poteva essere gestita diversamente, residuando a carico del Procuratore di Roma Lo Voi un margine di discrezionalità che avrebbe potuto condurre a un’immediata archiviazione.

Però, al netto della valutazione tecnica, urge porsi alcune domande di natura politica. Perché la CPI non ha emesso il mandato di cattura quando il criminale Almasri girellava per il mondo (ben 12 giorni) e lo ha fatto proprio quando il capo della polizia libica, questo terribile criminale è sbarcato in Italia? La seconda, perché il Procuratore decide di inviare la comunicazione ex art. 6 comma 2 L. Cost. 1/89 proprio poche ore prima che il Governo riferisse sulla vicenda innanzi al Parlamento?

Vi è forse un tentativo di condizionamento? Vi è forse la volontà di rimarcare plasticamente che la vicenda la gestisce solo ed esclusivamente la magistratura e non il Parlamento sovrano?

Come detto la questione naturalmente non è solo tecnico-giuridica, ma anche politico-costituzionale, e in ciò ci viene in aiuto ancora l’Avv.Caiazza. Nel prosieguo del post, scrive espressamente: “La storia repubblicana degli ultimi 30 anni è piena di “atti dovuti” con i quali la magistratura ha indebitamente invaso la sovranità della politica”.

E qui Caiazza centra un punto essenziale della dinamica dei rapporti tra poteri dello Stato, una dinamica patologica in cui uno – il potere giudiziario – da decenni invade il terreno della politica facendosi scudo di presunti automatismi – ma di fatto sovente atti discrezionali quantomeno nel “quando” e nel “come” – che lasciano alle Procure il diritto di vita e di morte su un singolo parlamentare, o su un Governo.

Uno strapotere che si ammanta di principi quali l’indipendenza del giudice, l’obbligatorietà dell’azione penale, l’atto dovuto, per l’appunto ma che in realtà utilizza tali principi in modo estremamente libero, talvolta persino arbitrario.
E allora, se noi guardiamo solo gli ultimi due anni – quelli cioè in cui è in carica il Governo Meloni – troviamo in parte della magistratura tutti i sintomi dell’uso strumentale del processo penale e del proprio ruolo in Italia. Si va dalla disapplicazione della legge nazionale (Decreto Cutro) per presunta contrarietà all’ordinamento comunitario, alla disapplicazione del Decreto sul trasferimento dei migranti in Albania, alla gestione dei processi contro Matteo Salvini (invero riferentesi a vicende passate), fino ad arrivare al caso Almasri. Tutto ciò senza contare scioperi, iniziative di contestazione a ogni norma penale del Governo e quant’altro.

Intendiamoci, nessuna di queste vicende è “scoperta” dal punto di vista formale. Tutto giustificato dalla “lettera della legge”. Ma se si guarda l’insieme, se per un attimo cessiamo di guardare il dito e ci concentriamo sulla luna, emergere chiaro un disegno ben preciso che forse è persino riduttivo ricondurre a “invasioni di campo” o “pezzi di magistratura rossa”.

A ben vedere siamo su un piano diverso, persino peggiore. Si tratta di un pezzo dell’establishment istituzionale – non il solo, invero – che reagisce utilizzando in modo assai disinvolto l’ampio che la Costituzione gli conferisce, innanzi a ogni tentativo di cambiamento epocale della Nazione o a fronte di governi non graditi. Un qualcosa di inquietante che, se letto alla luce del carteggio privato di alcuni magistrati di una precisa corrente giudiziaria, fa accapponare la pelle. Una specie di malattia autoimmune che divora il corpo statale dall’interno. Quando si legge che “Salvini ha ragione ma va fermato!”, o “Giorgia Meloni è più pericolosa di Silvio Berlusconi perché non fa politica nel proprio interesse. Bisogna porre rimedio” e analoghe amenità, il quadro che emerge è niente di più e niente di meno che eversivo.

Un potere dello Stato che per non perdere i propri privilegi e il proprio illimitato potere, reagisce come una bestia feroce abusando di quelle funzioni che quello stesso Stato gli conferisce per fermare ogni riforma che ne limiti l’arbitrarietà.
Siamo alla negazione del patto sociale su cui si regge una democrazia per virare verso forme di totalitarismo soft che pur salvandone le forme, la svuota dal di dentro, mostrando che “il vero potere” non sta nella scelta degli elettori e del Parlamento sovrano, ma altrove. In posti reconditi, nelle case chiuse di poteri burocratici che non passano mai per il vaglio e la legittimazione popolare. Il tutto con l’alibi della forma fatta salva naturalmente dagli atti dovuti

Quando in contestazione al Ministro Nordio i magistrati escono dalle aule dove si inaugura l’anno giudiziario con Costituzione alla mano, a ben vedere ne fanno un feticcio brandito per garantirne irresponsabilità ab soluta, che non può essere messa in discussione. In un certo senso strumentalizzano plasticamente il testo costituzionale per farne un’arma da agitare contro un altro potere dello Stato che pure nella medesima Costituzione trova la propria ragion d’essere persino superiore rispetto a quella dei magistrati. L’Art.1 della Costituzione ci dice chiaramente che la sovranità appartiene al popolo (che la esercita nelle forme e con i limiti di legge) e quell’articolo primo tra tutti e sopra tutti ha una portata ben superiore rispetto al funzionamento di un settore dell’architrave statale e costituzionale. È un monito a tutti i poteri dello Stato affinché non abusino delle prerogative costituzionali. Ebbene, tutto questo si pretende non valga per i magistrati che vogliono continuare a essere legibus soluti.

E allora – lo ripetiamo – il problema non è Almasri, o il Decreto Cutro o altro – ma è il disegno complessivo, la volontà di processare perennemente una linea politica quando non gradita alle toghe; be si comprende allora che è in gioco non la sorte di questo o quel Governo, ma l’equilibrio costituzionale che garantisce la tenuta democratica del paese che non né deve essere in mano a una Casta minoritaria di un corpo statale. Se così non fosse, non saremmo in democrazia, ma in una oligarchia di privilegiati che esercitano di fatto un potere assoluto e supremo

Innanzi a questo, innanzi cioè a una deriva autoritaria morbida che tiene perennemente in scacco l’espressione della volontà popolare (spingendosi persino a voler invadere i meccanismi di selezione della classe dirigente), occorre con forza ribadire il primato della politica riformando, in coerenza con il mandato elettorale ricevuto, anche quel settore della vita pubblica che si chiama Giustizia e ordinamento giudiziario.

E bisogna farlo per amore della democrazia, perché se il popolo capisce – ed ormai è evidente – che la sovranità non spetta più a esso stesso ma risiede nelle stanze grigie di qualche ufficio, si stancherà di far valere i propri diritti elettorali e tutto questo aprirà la strada a derive assai pericolose.

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