Con un’altra sconcertante sentenza politica sui migranti, ieri la Corte di Cassazione si è assunta un’altra grave responsabilità in tema di accoglienza. A proposito di un pakistano ha stabilito che anche se non c’è guerra, un migrante può richiedere il diritto di asilo come rifugiato e tocca ai giudici e non al richiedente dimostrare che non corrisponde al vero. In precedenza, la Cassazione aveva ritenuto di riconoscere lo status di rifugiato a una persona della Costa d’Avorio di religione musulmana, Bakayoko Aboubakar, sposato e con due figli, minacciato dai suoi famigliari perché omosessuale praticante. In particolare suo padre, il principale “persecutore”, almeno potenziale, è l’imam del suo villaggio. Da notare che in Costa d’Avorio l’omosessualità non è discriminata, non è considerata una devianza da punire. Ma la Cassazione rimarca che lo status di rifugiati non va solo riconosciuto agli omosessuali provenienti da paesi in cui viene discriminata l’omosessualità, ma anche a omosessuali non adeguatamente protetti dai loro paesi di origine.
Tralascio per un momento la clausola di salvaguardia per gli omosessuali, il salva-gay per così dire, ovvero lo statuto speciale riservato agli omosessuali per i quali evidentemente esiste una specie di passaporto diplomatico e prima o poi qualcuno proporrà un reddito di omo-cittadinanza. Mi soffermo invece, e non da giurista ma da cittadino, da osservatore curioso della società, dei costumi, delle leggi e dei mutamenti, su un altro aspetto singolare e sconvolgente che viene introdotto con questa sentenza nel nostro Paese: la figura del perseguitato domestico ovvero del minacciato in casa, dai suoi stessi famigliari. Vi renderete conto di quale rivoluzione sia: se riconosciamo lo statuto di rifugiato a chiunque dimostri, a migliaia di chilometri di distanza, in base a testimonianze perlomeno volatili, per non dir di peggio, di essere perseguitato dai famigliari e non protetto abbastanza dallo stato del proprio paese, abbiamo il dovere di accogliere maree sterminate di persone che si dichiarano in quelle condizioni. Il perseguitato domestico naturalmente è una categoria che potrebbe essere estesa non solo agli omosessuali ma a donne, minori, e chiunque viva un conflitto serio con la propria famiglia. Sarebbe infatti gravemente discriminatorio se la norma fosse riservata solo agli omosessuali o ai transessuali. E non solo: se un cittadino italiano viene perseguitato in casa, dal padre, dalla madre, dal marito e dalla moglie, a volte perfino dal figlio o dal cognato, non può reclamare lo stesso diritto di protezione e di rifugio in altra città, col relativo aiuto ad avere assistenza e magari domicilio protetto? Esagero, naturalmente, ma non mi pare di fuoruscire dalla ratio di quella decisione. Anzi, aggiungo, sarà più facile a un connazionale dimostrare il suo effettivo statuto di perseguitato domestico. So già che con l’alta conflittualità familiare che caratterizza le coppie in Italia, col diffuso vittimismo e con la proverbiale lotta di classe tra generi e suoceri, tra nuore e suocere (la cui sintesi è riassunta nel verbo nuocere) sono milioni gli italiani che si sentono vittime di bullismo domestico, di sopraffazione famigliare, di angherie coniugali, di satrapie genitoriali. Non sarebbe tanto la figura del Pater familias il principale obbiettivo, una volta caduta la società patriarcale; ma la figura di suoceri e invadenti, che si ingeriscono nella vita familiare, che pretendono di decidere, che ricattano offrendo benefici in cambio di predominio. Naturalmente sto sottolineando il risvolto grottesco della vicenda, sto portando alle estreme conseguenze quella ratio. Ma sono illazioni non gratuite se si introduce la figura del perseguitato domestico e se si accetta il principio che lo stato debba proteggere coloro che sono minacciati in casa perché hanno orientamenti sessuali e magari non solo sessuali divergenti rispetto a chi egemonizza la famiglia.
Nel verdetto, i supremi giudici scrivono che non sono stati «adeguatamente valutati» i rischi «effettivi» per la sua incolumità «in caso di rientro nel paese di origine, a causa dell’atteggiamento persecutorio nei suoi confronti, senza la presenza di una adeguata tutela da parte dell’autorità statale». «A tal uopo – prosegue la Cassazione – non appare sufficiente l’accertamento che nello stato di provenienza, la Costa d’Avorio, l’omosessualità non è considerata alla stregua di reato, dovendosi accertare in tale paese la sussistenza di adeguata protezione da parte dello Stato, a fronte delle gravissime minacce provenienti da soggetti privati».
So benissimo che una sentenza di questo tipo verrà subito strumentalizzata per altre operazioni, per far cadere ogni barriera che ostacoli l’accoglienza senza se e senza ma dei migranti clandestini, ovvero porta acqua al mulino di chi dice che se una persona decide di lasciare il suo paese e di venire da noi, abbiamo il dovere di accoglierlo. Il proposito è allargare le maglie della giustizia, praticare brecce ai confini, far saltare filtri e freni, dare via libera al principio che le nazioni e gli stati sovrani non contano un beato fico, tanto per citare il beato presidente della Camera, siamo cittadini del mondo e ognuno decide dove vuole vivere anche se non ha un lavoro, una casa e magari non accetta le regole del paese in cui decide di andare ad abitare.
Il perseguitato domestico è la nuova figura d’importazione del ricco campionario già a disposizione. Ora poi la nuova sentenza invita migliaia di migranti a far ricorso e a veder riconosciuto lo staruto di rifugiato anche se non c’è evidenza di una guerra o di una catastrofe umanitaria. Poi vi meravigliate del consenso a Salvini e del misterioso successo mondiale dei “sovranisti”…
MV, La Verità 26 aprile 2019