Compito dell’economia è spiegare i fenomeni economici, fornire dei chiarimenti, interpretare la società in chiave economica. Ma soprattutto una volta analizzata la situazione, il fenomeno, cercare di dare dei suggerimenti a chi deve decidere per indirizzare al meglio le scelte che possono incidere sulla quotidianità dei popoli. E nel nostro caso del popolo italiano.
La notizia di qualche giorno fa è che nel nostro futuro prossimo, ossia tra qualche mese, avremo un incremento dei poveri. Che già oggi sono 5 milioni (quasi quanto il popolo olandese, una nazione dunque!). Dovrebbe far nascere dentro il mondo “economico” fatto di interpreti, analisti, accademici e politici, una voglia di proporre soluzioni, indirizzi, percorsi da affrontare insieme, per comprimere al massimo il numero dei poveri ed aumentare quello dei benestanti. Altrimenti a che serve conoscere il PIL, o altri dati economici, se poi non si usano per migliorare le condizioni del popolo?
Cosa fare dunque? Prima di tutto un bel progetto dove al centro ci deve essere la crescita economica del Paese, lo sviluppo economico. Di che colore è, politicamente parlando, questo progetto di sviluppo? Di tutti i colori e di nessuno. Dovrebbe essere al centro di ogni pensiero economico e di ogni partito politico. Si dirà: a sinistra si cerca di risolvere il problema della crescita con il continuo intervento pubblico nell’economia, da destra invece si porrà l’accento sulla lunga mano della concorrenza nella libera iniziativa economica con un settore pubblico relegato al ruolo di regolatore.
Tasse, solo e soltanto tasse
Cosa abbiamo creato invece? 5 milioni di poveri in incremento, dove lo Stato interviene pesantemente nell’economia e per mantenersi fa debiti a gogo (pre-covid era così, post-covid anche di più) tassando tutto. Il conto di quante tasse ci sono in Italia non credo nessuno lo sappia, ma sicuramente tutti pensano che non solo sono tante, troppe, ma che chiedono ai cittadini sacrifici immensi.
Ma se lo Stato fosse meno interventista? Avrebbe sicuramente bisogno di meno imposte per sopravvivere perché spenderebbe meno. Meno spesa pubblica, meno debito pubblico, meno tasse. Un po’ di meno sicuro.
E per la crescita? Semplice: far pagare meno Stato, vuol dire avere maggior risparmio da destinare ai consumi, e con maggiori consumi si ha la crescita del PIL. E poi, se le tasse sul lavoro, sull’impresa, sulle libere professioni sono meno pressanti, la crescita viene da sola, e con essa non accade delocalizzazione verso paesi senza welfare come Cina o Maghreb. Potremmo aiutarli perfino a casa loro a crescere come democrazie perché avremmo come Stato soldi per far progredire le loro economie interne.
Abolire la povertà
Un uovo di colombo dunque. Abolire la povertà non è possibile, ma è auspicabile e si fa solo con uno Stato meno invadente, ma più accogliente delle libere iniziative delle persone, anche di essere liberi di essere poveri. Perché se uno vuol vivere in povertà non è detto che non sia un cittadino di serie A, ha solo fatto una scelta di vita, rispettabilissima.
Io la interpreto così dunque: meno tasse, meno spesa pubblica, più sviluppo! Oppure come alternativa più poveri e tutti uguali. Io non vorrei trovarmi nella condizione che qualcuno sceglie per me, vorrei scegliere io, essere libero di darmi da fare ed arricchirmi, oppure di vivere in povertà.
Questo in estrema sintesi il pensiero economico che ha affrontato il mondo contemporaneo negli anni passati. Ormai oggi si dà per scontato un certo tipo di benessere assistenzialistico. Ecco da economista credo che non dobbiamo accontentarci di poco, ma che convenga innalzare l’asticella. Male che vada salteremo tutti un po’ più in alto rispetto ad oggi, e quindi avremmo migliorato di almeno un tot la nostra qualità di vita.
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