Il sito delle battaglie di El Alamein cancellato, obliterato. Un delitto che l’Egitto moderno non si fa scrupoli a mettere in atto.
Al suo posto una megalopoli.
Gli egiziani quella guerra non loro la subirono, non hanno grandi rimpianti a pensare di cancellarla.
Non così per noi. Noi in quel deserto abbiamo lasciato migliaia di figli d’Italia.
Una linea continua difensiva composta da un’infinità di piccole postazioni, dove i Paracadutisti della Folgore affrontarono i carri armati alleati con moschetti e molotov.
E non solo loro: la “Ariete”, i Bersaglieri.
Asfalto e cemento rischiano di spazzare via in poco tempo le trincee della Folgore a El Alamein, il teatro della battaglia celeberrima che nel 1942, assieme a quelle di Midway e Stalingrado, rovesciò le sorti della seconda guerra mondiale.
A combattersi, tra il 23 ottobre e il 5 novembre, furono circa 300.00 soldati di una quindicina di nazionalità diverse.
Italiani e tedeschi da una parte; dall’altra inglesi, francesi, americani, indiani.
Oggi i sacrari degli eserciti che si fronteggiarono sorgono ad una manciata di metri l’uno dall’altro.
La megalopoli di al-Sisi
Ma quello che fu il campo di battaglia sta diventando qualcosa di diverso, ovvero la megalopoli voluta, pianificata e in gran parte già realizzata dal governo del presidente al-Sisi.
Le fondamenta di New Alamein, sono gettate. Una metropoli che sarà a metà tra una riviera turistica (sul modello di Sharm el Sheikh e Marsa Matruh, sul mar Rosso) e un elegante distretto.
Con tanto verde, una quindicina di grattacieli, tre università, grandiosi centri commerciali, un teatro romano, un polo della cultura, edifici governativi e uno skyline dagli spazi larghissimi.
Rischia l’oblio il «Progetto El Alamein», portato avanti negli ultimi anni da un gruppo di ricercatori e volontari, 300 in tutto.
Dell’Università di Padova, della Società italiana di geografia e geologia militare e di diverse associazioni, tra cui la «Congedati Folgore» e la «Associazione Nazionale Paracadutisti d’Italia».
In venti missioni hanno scavato buche, raccolto cimeli, ricostruito tutte le fasi della battaglia, recuperando una mole d’informazione richiesta anche dagli storici inglesi.
Forse sarà risparmiato il lavoro di Paolo Caccia Dominioni
El Alamein è un simbolo, il posto dove Paolo Caccia Dominioni ha costruito il sacrario e la sua casa, ma non sono i veri luoghi della battaglia.
Si trovano in pieno deserto quasi 60 km più a sud, ai limiti della depressione di El Kattara.
La città sorgerà più ad est del sacrario, a 13 -14 km, dove è stata messa la stele “mancò la fortuna, non il valore”.
L’ingegnere e scrittore Paolo Caccia Dominioni, che qui era stato un militare combattente, percorse il deserto per ritrovare una a una, 2.800 salme di caduti italiani e di altre nazioni.
Lo fece tra sassi, sabbia e vento, e tutto sembrava immutabile.
Mai avrebbe immaginato che questa desolazione sarebbe diventata 80 anni dopo una città da due milioni di abitanti.
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