Enrico Letta è uno stagista attempato a cui hanno assegnato d’ufficio la borsa di studio come segretario del Partito Democratico. È planato in Italia, si è installato nel suo ufficio e nel loggione del governo Draghi a cose fatte. Non ha affrontato congressi e tempeste, non ha lavorato per fare un governo istituzionale; ha trovato tutto pronto, doveva solo mettere nel microonde la sua porzione. Si è insediato al posto di Zingaretti, coprendo lo stesso vuoto che aveva garantito il suo predecessore, che almeno rideva sempre e sputacchiava con la sua allegra zeppola, a ogni esse. Erasmus Letta è arrivato al suo posto per completare il quadro e renderlo omogeneo a Draghi e al mantra “l’Europa ce lo chiede”.
Ma da giorni parla come se il padrone di casa fosse lui, come se lui avesse voluto Draghi al governo e avesse deciso i ministri tutti, il programma, le riforme e perfino cosa indossare e cosa mangiare. I tg della Rai che sono di una povertà d’immagini da tv albanese sotto dittatura, ci presentano ogni giorno lo stesso film di repertorio con lui che cammina veloce telefonando, avvolto in una sciarpina al collo come fanno i “mezzi soprano” per non sporcarsi la voce. Dinamico, non perde tempo, guizza tra le macchine, s’infila nella sede risoluto e dal piglio cesarista diresti: e mo’ so’ cavoli amari per chi trova in sede a poltrire. Arriva lui e li mette in riga…
Letta e Salvini
Se non sei d’accordo con le nostre riforme, intìma il Lettatore ogni giorno a Salvini, te ne puoi andare. Tornatene da dove sei venuto, dalla tundra sovranista, tra i selvaggi maneschi e i meloni parlanti. Non gli viene il sospetto che lui come Salvini è lì a far da coro, tappezzeria e supporto a un governo che non è di sinistra, non è di destra, non è grillino, ma è euro-banco-atlantico, se proprio vogliamo spaziare. E ha una sola Riforma da fare, il piano Recovery, quel brutto nome ospedaliero per rianimare l’Italia sul piano economico. Lui detta legge anche se ha il quinto dei voti di questa maggioranza, ma parla come avesse i tre quinti. Nel barese si prendono in giro i presuntuosi dicendo: Nicola tre quinti la brasciola; qui potremmo dire: Enrico tre quinti un fico.
Avendo in passato perso altre borse di studio, una a Palazzo Chigi sette anni fa, crede di essere stato reintegrato nel Palazzo di Governo e pensa o vuol far credere che Draghi sia solo il Luogotenente, il suo emissario. Stavolta, per non ripetere la brutta fine della volta scorsa, Letta fa il grintoso, il cazzuto, il tosto; imita malamente Renzi, scottato come fu dal giorno in cui gli lasciò la campanella che ancora risuona dentro le sue orecchie.
E in tv, parlando come un attore di teatro che interpreta il ruolo di statista, il Lettattore bacchetta, scandisce i tempi e chiede al suo sottoposto Draghi di alzare la testa e seguire una visione e una missione. Che è poi la sua, è il compito che crede di avergli assegnato lui medesimo. Non ha capito che alla segreteria del Pd non è stato chiamato come il Vaccino risolutivo della leadership; semmai come il Tampone in questa lunga vacatio sedis dopo la cacciata del tirannello fiorentino.
Draghi
I sondaggi lo danno in calo ma lui rincara la dose, ritenendo che le cose più urgenti da fare siano il ddl Zan, lo ius soli, la parità di genere, il voto ai sedicenni. Tutte battaglie che come si può notare sono essenziali, prioritarie e urgenti per l’Italia, chieste a gran voce dai cittadini per risolvere i loro problemi. E per darsi le arie taumaturgiche dello statista sanitario dice che se i contagi calano il merito è di chi come lui ha tenuto diritto la barra sul coprifuoco alle 22. Eroico principio che ha salvato la vita alla nazione. Con la chiusura alle 23, vagheggiata dall’irresponsabile cinghiale Salvini, avremmo pile di cadaveri accatastati e bruciati in piazza.
Se Salvini chiede le riforme che stanno a cuore alla Lega, Letta dice che sono divisive, che vuol spaccare la maggioranza, che si mette fuori dal governo, che fa il leader di lotta mentre sta al governo. E l’unico suo movente è elettorale, propagandistico, vuole inseguire la Meloni.
Se chiede lui le riforme che sono perlomeno nella stessa misura divisive e partigiane, no, perché lui parla da statista a nome del Drago; lui è la voce del governo, non sentite la sua dizione, è da Gazzetta ufficiale, si sentono scanditi pure i commi dell’articolato nel suo modo di parlare. In questo, tipico omo de sinistra, Letta crede che le sue idee siano la Legge – istituzionali, obbligate, oggettive – e quelle altrui siano solo rutti settari, selvatici e demagogici.
Prodi
Letta dovrebbe capire una cosa semplice: che se sta in questo governo di unità nazionale può portare avanti solo le riforme condivise o perlomeno non osteggiate dalle sue componenti più significative che sono quattro: grillini, Pd, Lega e Forza Italia, più spiccioli. Su quei temi caldi o sono in grado di quadrare il cerchio e trovare un accordo tra forze opposte, oppure quelle riforme non si fanno. O se le reputi prioritarie, allora fai quello che si fa in tutte le democrazie normali: fai saltare il governo e vai al voto. Se vinci fai le tue riforme, se perdi le fai fare agli altri e tu non gridi alla dittatura.
Letta aveva un paio di qualità che lo rendevano un po’ meglio di altri, soprattutto del suo partito: non aveva l’arroganza sinistrese e aveva quasi la timidezza da chi ha buone maniere, ha letto qualche libro, usa le pattine. Adesso invece, ha capito che quelli sono impedimenti per far politica e allora s’impone di essere arrogante, perentorio, partigiano. Ha abbandonato il manierismo di casa Letta, il curialismo dc e anche il mollismo di marca Prodi, fa il Decisore Intransigente che dà ultimatum e alza muri. Datte ‘na carmata, direbbero a Roma, perché la borsa di studio è a tempo determinato. Leggi bene l’ingaggio, sei stato preso come stagista, non come statista.
MV, La Verità
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