Cresce di giorno in giorno, e a volte s’impenna, l’escalation delle donne uccise dai loro ex. Col tragico senno di poi si ripete la rituale denuncia: ah, il carnefice era stato segnalato dalla vittima, non dovevano lasciarlo a piede libero. Il problema è che sono migliaia i potenziali assassini delle loro donne che hanno manifestato i loro intenti, poi alcuni di loro lo faranno davvero: si può dare il carcere preventivo ad oltranza per ogni criminale potenziale, punendo le intenzioni per prevenire i fatti? Di solito si conclude con l’invocazione di una nuova legge più aspra contro i femminicidi.
Come se le leggi potessero correggere la realtà… Dimenticano il fondamento elementare del diritto: l’universalità. Le leggi devono valere per tutti. Poi ci possono essere caso per caso le circostanze aggravanti o attenuanti. Ma la legge deve essere uguale per tutti. Quando si cominciano a distinguere gli assassinii e ritenere che il femminicidio sia più omicidio di un altro, finisce il diritto e l’universalità delle norme. Uccidere un bambino, un vecchio, un fragile è meno grave che uccidere una donna?
A chi dice che la legge speciale è nata per fermare l’escalation di femminicidi, faccio notare che quei delitti crescono nonostante le leggi speciali già in vigore e le campagne mediatiche massicce: non sono un deterrente per chi perde la testa e decide di uccidere e poi di uccidersi. Perché per lui è crollato il mondo, una pena inasprita non lo ferma. Muoia Sansone con tutti i filistei.
Invece si dovrebbe mettere in discussione il modello prestampato di spiegazione dei femminicidi. Non è il machismo, il maschilismo animalesco o la supremazia maschile a scatenare la violenza assassina sulle ex; non è la pretesa sottomissione della donna, la voglia di tornare a un regime patriarcale e la riaffermazione virile e possessiva che tu sei roba mia a spiegare i tanti “femminicidi”, spesso seguiti da suicidio (basterebbe invertire la sequenza, cominciare dal suicidio e molte donne sarebbero salvate).
La molla primaria di tante uccisioni di donne, a mio parere, è un’altra e viene elusa, mai affrontata: è la dipendenza di quegli uomini dalle loro ex. Sì, come la tossicodipendenza, c’è una dipendenza tossica, patologica e ossessiva di molti maschi dalle loro donne. Non riescono a concepire la loro vita senza di lei, fuori da quel rapporto, non accettano di essere abbandonati, come minori, dalla loro donna, madre e icona. E perciò giungono al gesto folle e brutale di uccidere l’ex che si nega alla continuazione del loro rapporto e si rende “indipendente”. Ancor più che gelosia, è sindrome dell’abbandono puerile ai livelli estremi.
Prima le turbe maniaco-depressive, poi le minacce e l’impulso a reagire con un gesto drastico, definitivo: se non posso vivere senza di te, neanche tu potrai vivere senza di me. Come chiamarla? Uxordipendenza, direi.
Certo, non manca l’orgoglio ferito, la volontà arcaica di predominio, la donna come selvaggina e trofeo e un fondo oscuro di violenza animale; ma se si arriva a uccidere la donna che lascia, si conferma in modo definitivo la dipendenza da lei, la sconfitta, la propria impotenza. L’omicidio-suicidio è la conferma della propria inferiorità e dipendenza dalla vittima.
Lo schema tipico è che lei non vuole stare più con lui, lo ha lasciato, per un altro o anche no; e lui la perseguita, cerca di rimettersi insieme, vuole rivederla e poi la uccide. A volte uccide pure i figli piccoli che vivono con lei; a volte – sempre più spesso ‒ dopo il crimine si suicida o tenta di farlo.
Di solito si sottolinea, con malefica insistenza, che i crimini commessi contro le donne avvengono soprattutto tra le pareti domestiche e da parte di mariti, fidanzati e famigliari. Lo scopo è accusare la famiglia, farla scadere da focolare di affetti e premure a focolaio di violenze e abusi. Ma è ovvio che le violenze accadano più tra congiunti che tra estranei o verso casuali passanti. La persona che ti sta accanto è il primo bersaglio su cui scaricare le tue debolezze, ossessioni, dipendenze.
L’intento subdolo della denuncia è ritenere la famiglia tradizionale o la coppia stabile come la fonte dei crimini e misfatti; non certo lo stupratore estraneo, magari straniero e pure clandestino (su questi crimini prevale la sordina). Il pregiudizio antifamigliare regge su un’enorme omissione: a fronte di alcune migliaia di casi di violenza e sopraffazione in casa, ci sono alcuni milioni di famiglie e di coppie che non conoscono violenze e soprusi ma amore, cura, comprensione, rispetto reciproco. Migliaia contro milioni; e se parliamo di femminicidi, decine di casi contro milioni di rapporti sereni, perfino noiosi. Magari pure contrastati o ipocriti, ma non violenti.
Ma torniamo ai carnefici, incapaci di concepirsi autonomi, indipendenti, sovrani della propria vita. Se avessero un minimo di dignità maschile, di orgoglio “virile”, si allontanerebbero, guarderebbero altrove, si sforzerebbero di eliminare la loro ex dalla mente e dal cuore, rifacendosi una vita o dedicandosi ad altro. Dimostrerebbero il coraggio di vivere senza di lei.
Ma la loro virilità è fragile, il loro io è costruito sulle spalle di lei, non riescono a farne a meno; un amore tossico li schiavizza e muta in odio in caso d’astinenza. La stessa eliminazione dei figli rivela che non sentono la paternità ma patiscono il narcisismo puerile: sono loro al centro del mondo e i figli sono solo anelli di congiunzione con la madre. Insomma, chi uccide non è l’antico Maschio Padrone, ma il Tossico-dipendente dalla sua donna. Se mi lasci finisce il mondo.
MV, Panorama (n.36)
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