Dieci anni fa finiva il berlusconismo. Lui resta ancora, il suo partito pure ma l’era del berlusconismo finì nell’autunno del 2011 con la caduta del suo governo abbattuto da un mezzo golpe interno-internazionale. E con la curiosa appendice che lui votò per il suo successore Monti e per la riconferma del suo liquidatore Napolitano e si alleò con molti suoi sicari, anche stranieri. Il berlusconismo era nato come fenomeno televisivo, commerciale, sportivo e apolitico, una forma di americanizzazione giuliva e nociva. Poi scese in campo politico. Nacque il ’94 come antipolitica ma radicalizzò la politica.
Ebbe il merito di portare al governo la destra nazionale e sociale e la Lega. Spinse verso il bipolarismo e avversò la sinistra al governo; al potere invece la sinistra vi restò, ormai parte dell’establishment. Per quei motivi lo considerammo il male minore e lo difendemmo dal linciaggio continuo, non solo giudiziario. Non ci aspettavamo che con lui arrivasse la destra al governo e cambiasse lo Stato e la Nazione; ma speravamo che, alleata a lui, la destra lasciasse un segno, imprimesse una svolta. E invece passò come un buco nell’acqua, per finire poi malamente con Fini, che dopo anni di subordinazione al Cav. insorse ma liberandosi anche della “sua” destra, finendo in un nebuloso altrove, compiacendo la sinistra.
Cosa è stato Berlusconi per l’Italia? Lo scrivemmo già all’epoca e ci costò qualcosa. Segnò il primato del privato e del personale sul pubblico e sul politico. Intese la libertà come deregulation, fondendo la lezione di Reagan con la libertà dei costumi del ’68, di cui fu il lato b. Berlusconi fu più l’effetto che la causa della deculturazione italiana di massa; la sua leadership oppose il presente al passato, gli anni ottanta agli anni di piombo, l’America al Soviet, Drive in alla Sezione. Fondò un populismo monarchico e padronale ‒ il precedente in Italia fu Achille Lauro – portò il colore in una politica ancora in bianco e nero.
Non fu di destra né di sinistra ma fondò il centrismo su se stesso (ego-centrismo). Dette forme radicali a contenuti moderati che stemperò in chiave ottimista. Non fece riforme strutturali e tantomeno rivoluzioni, neanche nei campi che gli premevano a livello personale. Andò meglio in politica estera ma non tenne il punto. Fu bollato come tiranno, ma la sua singolare autocrazia non ebbe deficit di libertà e di democrazia semmai di decisione e autorevolezza. Il suo “regime” fu in aperto conflitto con quasi tutti i poteri istituzionali, mediatici e giudiziari, richiamandosi solo alla sovranità popolare; il contrario di una tirannide.
Non oppresse, semmai viziò gli italiani, permissivo più che dispotico; li assecondò, non li sottomise con la forza. Ibridò il lessico ludico-sportivo e commerciale col linguaggio domestico e televisivo, fu attore protagonista della via italiana all’americanizzazione, tramite una fiction politica fondata sull’appeal personale e sul mito del self made man. Fu la gigantografia dell’italiano medio sorto con gli anni sessanta e poi ottanta, la sua amplificazione vincente, in talento e sbruffoneria; inventò la politica confidenziale in cui ogni messaggio era una richiesta d’amicizia. Volle compiacere, chiese simpatia più che rispetto e raccolse con la simpatia anche un odio diffuso e radicale, come nessuno prima. Per anni fu il Male e il Nemico.
Rappresentò l’irruzione del presente, della vita, della tv, fuori dalla drammaturgia nazionale, la Storia, le ideologie, il senso dello Stato. Re seduttore e un po’ sultano, a tratti mandrillo e satiro, lo colse il terrore della vecchiaia e della morte, praticò il lifting come categoria dello spirito, esibendo vitalità per esorcizzare il declino. Sostituì il carisma con la seduzione più consona a un’epoca dominata dal mercato, dal sesso e dalla pubblicità. Curò i suoi interessi personali, circondato da un alone nefasto di badanti, cortigiani e profittatrici. Il neo-berlusconismo è il residuo del berlusconismo rampante; si barcamena tra centro-destra e doppi giochi.
Alla fine della parabola B. lasciò il vuoto che aveva trovato e finto di riempire: il berlusconismo si dissolse nel nulla. E dal nulla nacquero Renzi, Grillo, Conte, dei quali fu padre putativo. Quand’era al governo i suoi nemici gridarono alla dittatura, ma B. lasciò l’Italia come l’aveva presa: sfiduciata e spaesata, corrotta e furbetta, piena di ingiustizie e demeritocratica. La sua rivoluzione fu annunciata e denunciata ma non produsse il promesso ammodernamento né la temuta devastazione. Fallì la sua rivoluzione liberale. Feroci conflitti, odi incrociati, livore diffuso, ma niente d’importante cambiò. Direte con buone ragioni: colpa dei giudici, degli alleati, dei poteri oscuri, della crisi mondiale, della gnocca, fate voi.
Il berlusconismo non lasciò eredità politiche, classi dirigenti e opere destinate a durare nel tempo. Ai suoi nemici dico: non era un melanoma semmai una dermatite, un’irritazione epidermica, forse acuta. Ai suoi estimatori dico: l’Italia continuò il suo declino e B. non fu la causa né il rimedio, non fece nessuna rivoluzione.
Ora lui resiste prodigiosamente ai tanti malanni, quasi in versione ogm, e sogna il Quirinale ma il berlusconismo è finito da un pezzo. Dal nulla Berlusca aveva creato un partito vincente, una coalizione di governo tra cani e gatti; sbaragliò i nemici, governò tre volte e a lungo. Ma non lasciò segni, fu illusionista. L’Italia resta quel che era, più triste e più vecchia: ladra, furba e consociativa, culturalmente de sinistra, moralmente finto-bigotta in versione radical; civilmente incivile, sostanzialmente paracula, impaurita e rancorosa.
Il berlusconismo avrebbe potuto evolversi in un moderno movimento conservatore, popolare, d’ispirazione cattolica e nazional-europea; finì invece in una piccola monarchia senza eredi, una specie di principato di Monaco. Posizione strategica, a cavallo tra due nazioni, regno dorato di vecchi gossip e lucenti vetrine.
MV, Il Borghese