‘Ciao Grigio‘. Arriva via messaggio, la mia nuova consapevolezza.
Mi chiama così da un po’, nella gioiosa canzonatura della sua bellezza mora, dei suoi occhi da cerbiatta e dei suoi trenta anni o poco più.
Ma io che sono alla soglia dei cinquanta, non ci ho mai fatto molto caso, almeno fino ad oggi.
Sono ‘Grigio‘, dopo tanti anni passati da Biondo. Biondo cenere.
Grigio come Gandalf, come un gatto certosino: battutacce su Mr. Grey risparmiamocele, sulla sua ‘saga‘ non si può nemmeno nascondersi nel più banale ‘era meglio il libro’.
Come ci sono arrivato a essere bigio? Non lo so. Un anno fa avevo vent’anni, un mese fa ne ho compiuti trenta; ieri me ne sono ritrovati quaranta. Oggi quarantanove. Psicologia della relatività della percezione della matematica applicata all’età.
Sono ormai un monocromo Grigio, di mista consapevolezza, cinismo e menefreghismo. A noi Grigi mica ci fottete facilmente con le moine..pecchiamo, forse, in velocità, ma sul lungo siamo imbattibili.
Diciamolo: il grigio, tra i tanti colori che esistono, è uno dei più snobbati. Quante persone conoscete che, alla domanda relativa al loro colore preferito, rispondono che è il grigio? Probabilmente nessuna, o quasi. Eppure io sono così.
Sono un dinosauro in realtà, un T-Rex con tutti i connotati motoristici e modaioli della crisi di mezza età. Portata con sbarazzina indifferenza, me lo riconosco: “l’importante è essere vecchi dentro” lo dico dal Liceo.
Già il Liceo. Classico, una scuola che non si usa più. Creata da un filosofo, Giovanni Gentile, che non si può nominare, perché di un’epoca condannata alla abolitio memoriae, ma ci parla da ogni angolo delle nostre città. Purtroppo o per fortuna, decidetelo voi.
Amo i libri di carta, i fumetti, i motori endotermici, le moto che rombano. I mobili vecchi che profumano di famiglia, e i robottoni anni 70. Mangio carne, mi piace ancora la figa. Non fuga, maledetto corret9re, ho scritto figa, voglio scrivere figa. Almeno finché è permesso da questo mondo al contrario. Lo so che non si può più scrivere oggigiorno, ma è così.
Come amo le musicassette, i vecchi motori puzzolenti o i telefonini come mattoni. Che però hanno una batteria che dura una settimana. Pensare che ho vissuto la giovinezza senza neppure averli.
Ne ho viste di cose. Ne ho subite altrettante.
Nulla di nuovo sotto il Sole. Ma quando tocca a te, te la devi scontare. Senza sconti. Quelli sono solo fumo negli occhi. La vita non li offre mai.
Caparbiamente per il cambio manuale, per fogli di carta che custodiscono altri pezzetti di carta.
Risolutamente per una stretta di mano guardandosi negli occhi, che vale mille volte di più di un contratto di cento pagine. Perché la mattina nello specchio io devo potermi guardare senza vergognarmi. Come faccia certa gente, invece, io non lo capirò mai.
Difficile essere Grigio per chi vede solo il Bianco o il Nero. Ma tant’è.
Un mondo che non esiste più
Ho solo cinquanta anni, ma rappresento un mondo che tramonta, sconsolatamente. Un mondo fatto di idee, di valori, di responsabilità. Un mondo di libertà, che da vecchio mi saranno negate. Ma ci sarà l’eutanasia, che consolazione, per loro, per i vili.
Un mondo dove l’amicizia cameratesca con altri uomini non necessitava di mettersi la lingua in bocca, per essere ‘inclusivi‘.
Lo eravamo già, a modo nostro: perché imparavamo presto a fidarci di chi parla male di noi in faccia, e bene alle nostre spalle.
Dove il rispetto per le donne passava anche per le battute, condivise, su tette e culo. Che prontamente venivano ritorte contro, con l’eleganza che solo le donne sanno avere. Perché, come disse una mia amica arguta, non c’è nulla di peggio di essere un oggetto sessuale, tranne non esserlo più.
Un mondo dove quando si esagerava, uno sberlone rimetteva le cose a posto, e poi si andava a bere insieme.
Un mondo dove fratellanza e cameratismo si imparavano facendo cubi inutili con ‘effetti letterecci‘ sozzi e maleodoranti, e di sanificarli non veniva in mente a nessuno.
E quel cameratismo e fratellanza lo traducevamo nelle nostre zingarate: dormire in tenda di fronte al mare con la propria moto a cinquanta centimetri, con uno sconosciuto che ti mette una lattina di birra davanti e nemmeno parlate la stessa lingua.
Un mondo dove, con le cartine spiegazzate sul serbatoio, e corsi di topografia e orienteering sotto le armi, ti riducevi a chiedere la strada al primo che passava.
Già, il mestiere delle armi, o meglio la naja imposta a tutti i maschi: nessuno l’ha mai trovata sessista, era un dovere. Poi è divenuta un diritto e se la sono portata via. Come tanti elementi della mia vita, non esiste più. Già, dimenticavo, sono un Grigio dinosauro.
Ho usato macchine da scrivere e carta carbone, poi tastiere, ora schermi tattili, ma ciò che scrivevo e scrivo, sempre dalla farina del mio sacco è uscita.
Quella stessa farina ora é finita tra i miei, sempre meno, capelli.
Sono ‘il Grigio‘: me lo sono guadagnato. Se diventerò ‘il Bianco‘ dipende da tanti fattori, primo tra tutti il Fato, che, insegnavano i Greci, è sovraordinato anche agli Dei.
Sono ‘il Grigio‘, ormai dovrei essere anche saggio. Già.
Magari in un’altra vita.
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