Sangue e memoria – Il bilancio dello scorso week end in Israele è drammatico. Quando tutto il mondo si fermava a ricordare la tragedia della Shoah, rendendo omaggio a ben 6 milioni di ebrei uccisi dalla follia nazifascista, a Gerusalemme, il terrorismo palestinese colpiva in modo vigliacco con due attentati terroristici.
Attentati a Gerusalemme: violato lo Shabbat
Il primo proprio nella giornata di Venerdì in pieno Shabbat, un palestinese ha aperto il fuoco uccidendo 5 persone che uscivano da una sinagoga e 2 persone che erano accorse per prestare i primi soccorsi.
Sabato, invece, un ragazzino palestinese di soli 13 anni ha sparato contro due ebrei ferendoli gravemente.
Una violenza inaudita e inaccettabile che ha costretto il Governo Netanhyau a indire subito un Gabinetto di Sicurezza e a elevare il livello di allerta in tutti i territori.
Analisi pregiudiziali: La colpa di Israele è di voler esistere
Subito, tuttavia, si è tentato da più parti di trovare una sorta di giustificazione irricevibile a questi tragici fatti di sangue considerandoli come una rappresaglia per quanto accaduto qualche ora prima a Jenin. Infatti, Giovedì scorso, nella città della Cisgiordania, durante una operazione di polizia israeliana contro una cellula terroristica sono rimasti uccisi 10 palestinesi.
Un’analisi di tal genere che nasconde nemmeno troppo un pregiudizio antiebraico che come un virus circola in Occidente, è palesemente viziata (nel migliore dei casi) da una ignoranza grossolana, o (nel peggiore) da una patente malafede.
Come poter mettere sullo stesso piano un’operazione di polizia contro una cellula terroristica che – tanto per cambiare – trova base e sponda a Jenin – e il massacro di civili innocenti ad opera di terroristi islamici? Non si può. Eppure, in alcune testate giornalistiche anche italiane questa pelosa comparazione assume toni giustificazionisti del massacro di Gerusalemme.
In fondo è sempre la stessa storia, gli ebrei se la sono cercata! Essendo causa stessa del problema non hanno diritto di lamentarsi delle conseguenze. Leitmotiv tanto scellerato quanto costante nella storia del popolo ebraico, che si fa beffe della verità in funzione rigorosamente antisemita.
D’altra parte i fatti di questo fine settimana sono evidenti e non li vede solo chi non vuole vederli!!!
Jenin e Gerusalemme: due fatti incomparabili
Da un lato, abbiamo un’operazione mirata dell’esercito di Israele e ostacolata non da semplici manifestanti, ma da inferociti combattenti armati (come ad esempio il Battaglione Jenin, milizia armata e paramilitare) e da persone “civili” con sassi, bottiglie e proiettili improvvisati. Certo, ci sono morti innocenti anche a Jenin, ma non era questo l’obiettivo di Israele e se ciò è tristemente avvenuto, una parte di responsabilità è da attribuire anche alla sedicente resistenza palestinese, più interessata a coprire i terroristi che non alla pace.
Dall’altro, a Gerusalemme, sono entrati in azione terroristi – estemporanei e quindi ancor più imprevedibili e pericolosi – che hanno preso di mira inermi persone che tornavano dalla Sinagoga.
Mettere sullo stesso piano i due eventi è francamente ridicolo, ed è degno della più subdola propaganda che da decenni accompagna le vicende relative al conflitto israelo-palestinese.
l’Odio come volano politico della causa palestinese
Ma la cosa che colpisce di più, è che in uno di questi due attentati, l’attentatore era un ragazzino di soli 13 anni. Non ci si può non chiedere quanto odio deve aver introiettato questo giovanissimo per spingersi a un’azione del genere. Quanta propaganda di morte deve aver subito se poco prima di compiere il vile attentato scriveva a sua madre che la sera questa sarebbe stata orgogliosa di lui?
Sono questioni che lasciano sconvolti e si rivelano in prospettiva ancor più gravi rispetto ai fatti in se stessi, pure gravissimi.
Siamo cioè di fronte a un clima di odio ideologico e di propaganda di morte che da decenni le organizzazioni politiche palestinesi spargono a piene mani sulla popolazione. Da Arafat che in tempi lontani invitava i giovani al martirio fino ad Hamas e Jihad Islamica che coltivano il culto della morte propria e altrui . In tutto questo, la complicità dell’ANP (quantomeno per inerzia) è allibente eppure del tutto sottovalutata dalla comunità internazionale che mai ha preso posizione netta contro Abu Mazen e il suo modo di gestire lo “Stato” di cui pure è Presidente.
L’ipocrisia occidentale
Al contrario, la stessa comunitùà internazionale, a seguito di questo week end di sangue, rivolge i propri appelli unilateralmente a Israele affinché questi non ecceda nell’uso della forza, ossia, in altri termini, affinchè rinunci o renda mite il proprio diritto di autodifesa. Ciò in nome di una pace nella quale ormai non crede più nessuno. E se è vero, come diceva Golda Meier che la pace sarà possibile quando l’amore per i figli da parte dei palestinesi supererà l’odio verso gli ebrei, ben si comprende come questi appelli siano irricevibili e che suonino anche vagamente derisori.
Un po’ come quando si rivolge l’appello alle donne a non vestire in modo eccessivamente succinto per non essere stuprate. Insomma, il classico schema in cui la vittima è considerata causa del suo male.
Orbene, in queste ore il Segretario di Stato statunitense sarà a Gerusalemme e sarebbe auspicabile che il suo intervento vada nella direzione di un sostegno allo Stato di Israele che ancora una volta, da vittima rischia di passare per carnefice.
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