Genocidio” e le dimissioni dall’ANPI di Roberto Cenati
Genocidio, una parola entrata oramai nella nostra terminologia tramite il tam-tam dei mass media.
Un termine relativamente recente, coniato da Raphel Lemkin, avvocato polacco, e apparso la prima volta nel suo libro “Axis Rule in occupied Europe”, pubblicato nel 1944
L’avvocato ha inserito una definizione del termine come “atti commessi con dolo specifico per distruggere in tutto e in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”.
L’odioso termine era nato per motivi giuridici ma al suo interno conteneva strette implicazioni sociali e storiografiche. L’avvocato Lemkin era di religione ebraica, sensibile quindi ai crimini dell’Olocausto. Voleva una parola “forte” che doveva entrare nel lessico del diritto internazionale, al fine di produrre idonei strumenti giuridici per circoscrivere il fenomeno e promuovere azioni giudiziarie.
Durante il processo di Norimberga fu pronunciato per la prima volta in un tribunale il termine genocidio, non come crimine specifico, ma come termine strettamente descrittivo degli eventi che si erano succeduti. In quel caso si delineava la fattispecie penale di chi aveva creato e ideato i campi di sterminio.
La sentenza, non esistendo ancora il reato di genocidio, fu per “crimini contro l’Umanità”
Fu solo nel 1946 che L’Onu introdusse “ il genocidio” nel diritto internazionale, dando dignità giuridica al termine e normando il contesto in un quadro normativo. Oltre al fatto che le vittime dovessero appartenere a specifici gruppi nazionali, etnici, razziali o religiosi, gli atti che riguardavano dovevano essere stati effettuati con “dolo specifico”, ovvero finalizzati a uccidere i membri del gruppo o generi del gruppo (maschi o femmine) o di alcuni membri del gruppo uccisi per motivi vari (ad esempio bimbi o anziani), oppure apportare lesioni gravi all’integrità fisica o mentale, o impedire la nascita di membri del gruppo anche tramite aborti forzati, obbligare trasferimenti forzati in altre zone o altri territori o infine potevano nuocere, sottoponendo deliberatamente il gruppo a condizioni di vita tese a provocare deliberatamente la distruzione fisica, totale o parziale.
Sono veramente pochi i casi in cui i tribunali internazionali hanno indagato per “genocidio”
Solo in un caso è stata emessa sentenza definitive di condanna in forza di tali crimini . Uno di questi è stato Radovan Karadzic, presidente della Repubblica Serbia e Bosnia Erzegovina dal 1992 al 1996, assieme al generale Ratki Mladic, entrambi accusati del massacro di Sebrenica, durante il quale furono trucidati 8000 persone. Tale massacro fu finalizzato alla distruzione del gruppo di musulmani bosniaci dei Bosgnacchi tramite l’uccisione sistematica dei maschi del gruppo.
E’ un paradosso il fatto che 80 anni dopo la prima pubblicazione del termine genocidio da parte di un ebreo che voleva condannare l’Olocausto, tale termine diviene il principale capo di accusa nei confronti dello Stato di Israele.
Ed è proprio su questa ipotesi di reato che pende verso l’esercito israeliano per crimini commessi nei territorio di Gaza, a cui sta attualmente indagando il Tribunale Panale Internazionale.
E’ bene sottolineare che trattasi di rischio di accusa di genocidio
Ma la possibilità di confusione e di un utilizzo distorto delle informazioni da parte di mass media c’è, ed è enorme.
Ne è un esempio un fatto accaduto proprio in questi giorni. Roberto Cenati, da 12 anni segretario della sezione ANPI di Milano, si è dissociato con il Nazionale, a causa della manifestazione del prossimo 9 marzo organizzata assieme alla CGIL, in cui già nel manifesto si evidenzia la possibile accusa di genocidio verso Israele.
Cenati, in pieno dissenso, ha presentato le sue dimissioni dall’ANPI. Ha dichiarato di non concordare con il comportamento di Israele nei confronti delle popolazioni di Gaza, ma esclude categoricamente che si possa parlare di genocidio.
E dal punto di vista del diritto internazionale non ha tutti i torti
Vediamo perché. Innanzitutto i crimini sono reati penali e quindi, a tutti gli effetti, reati personali. Per i fatti di Sebrenica sono stati riconosciuti e puniti due personaggi ben precisi.
Nel caso degli attacchi a Gaza non si ravvisano atti di singoli personaggi. Si può parlare eventualmente di accusare in toto lo Stato di Israele, o al limite, il suo presidente Netanyahu. Tuttavia quest’ultimo non è l’unico protagonista dell’attacco che ha creato forti danni a Gaza. Israele di fatto è stata la Nazione attaccata il 7 ottobre scorso da Hamas, che si è soltanto difesa.
Vi è quindi la reale difficoltà di capire quali siano gli attori di tali crimini
E spostare i riflettori sull’intero popolo di Israele, sarebbe un pericoloso precedente.
L’altro aspetto riguarda il concetto di dolo specifico. Come è stato suesposto, è necessario che vi sia un motivo preciso e circoscritto, normativamente previsto, finalizzato alla distruzione di un gruppo specifico. In questo caso Israele potrebbe rientrare nel caso di “sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare deliberatamente ad una sua distruzione fisica, totale o parziale”. Non arriva cibo a Gaza, né medicine, né gas. Potrebbe essere questo un caso rientrante nella descrizione di genocidio.
Tuttavia non è sufficiente dimostrare la distruzione. Deve essere provata la volontà, certa ed inequivocabile, di compiere la dannosa distruzione di uno specifico gruppo.
E qui subentra un’altra definizione, quella di “gruppo”
La norma internazionale fa riferimento al concetto di gruppi nazionali, etnici, razziali o religiosi. Ma a Gaza coabitano più gruppi etnici, razziali e religiosi. E quindi?
Il Tribunale Internazionale ha aggiunto alla definizione “storica” il concetto di “gruppo territoriale”. I residenti di Gaza sono di fatto un gruppo perché coabitano in una zona ben delimitata e definita.
Il rischio, di un accusa tanto odiosa e infamante, al momento, e si pensa anche per il futuro, per Israele quindi non c’è. Tuttavia anche il governo di Netanyahu deve cominciare a collaborare. E’ ormai venuto il tempo, se non proprio di parlare di pace, quantomeno di iniziare la via del dialogo.
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