In dissenso da quanto scrive Petrone ma col dovuto rispetto delle altrui opinioni
La debolezza dei sistemi ad economia statali dipende dall’esito fallimentare, fino ad ora costante nel tempo e nello spazio, della sua applicazione.
All’elenco di Petrone bisogna aggiungere almeno Mussolini e Francisco Franco: il fascino dello Stato “razionale” accomuna, da Hegel in poi, sia la sinistra che la destra estreme. Sono tutti figli suoi.
Gli esiti delle economie statalizzate sono ancora più disastrosi in momenti di complessità economica crescente, con punte di competitività estreme, con l’utilizzo della teoria dei mercati efficienti e della economia comportamentale (sono le ultime teorie economiche premiate col Nobel).
In concreto statalizzare vuol dire mettere nelle mani di un politico, il più delle volte sprovveduto in economia aziendale, la gestione di tutte le imprese di un Paese
Dalle stanze di un ministero lontano, circondato da burocrati di e in carriera, dovrebbe avere la capacità e le competenze di far meglio delle migliaia di imprenditori che si alzano tutte le mattine, vanno in azienda e passano la vita a cercare di migliorare il loro prodotto, abbassarne i costi, allargarne i mercati: una illusione che il Paese paga caro, dovunque è successo e dovunque succede.
Può anche darsi che gli USA non gradiscano, che la CIA intervenga, che gli embarghi aumentino i disagi, ma quello che è storicamente appurato dimostra che la formula funziona in teoria ma nella pratica non crea ricchezza, a tal punto che tutti, dico tutti, i sistemi che l’hanno adottata hanno creato e redistribuito solo miseria.
Chiunque è invitato a uscire dalle ipotesi prospettiche, dagli onirici progetti in buona o cattiva fede, e mettere sul tavolo l’elenco dei successi realizzati dai sistemi a economia statale
L’economia pubblica fa danni anche in Italia, da sempre: qualche esempio fra gli innumerevoli infortuni italiani creati dall’intervento pubblico nella economia?
Le perdite di quasi il 90% delle finte imprese comunali, regionali e perfino provinciali: una emorragia di miliardi male spesi, anno dopo anno, da decenni;
Alitalia, icona delle inefficienze, dei deliri sindacali, delle incompetenza dei politici e dei burocrati, della rapacità dei dipendenti;
gli sconquassi IRI;
le vergogne EFIM/Breda;
l’eliminazione “politica” del Gruppo Ferruzzi a mezzo ENI;
il più recente, e indecente, esproprio della acciaieria di Taranto a scapito dei Riva e i miliardi andati in fumo: non produce acciaio ma chiacchiere, casse integrazioni milionarie, dichiarazioni, progetti e debiti a nostro carico
Nel mondo i guai sono ancora più seri, riguardano la messa in povertà economica e la negazione della libertà personale di centinaia di milioni di sfortunati sudditi dello Stato:
la Cuba dei Castro – che per esempio favorisce la diffusa prostituzione delle sue donne purché in valuta pregiata: si tratta della nazionalizzazione della “bernarda”.
La Corea del Nord dei Kim. Superfluo ogni commento
Del Venezuela per la stupida ma violenta iattanza di Maduro che ha impoverito il Paese proprio nazionalizzando i principali soggetti economici.
E se la gente va in piazza arrivano gli squadroni che bastonano o chiudono nelle patrie galere i “dissidenti”.
Il Cile di sant’Allende, un mediocre politico che nazionalizzò l’economia, issato a icona dalla narrazione di sinistra: basta dire che l’ultimo anno del suo sciagurato “regno” registrò una inflazione di oltre il 600%.
L’URSS: un bell’esempio di nazionalizzazione dell’economia, imposta a tutti i Paesi satelliti. Conclusione: né la brioche promessa ma neanche il pane per levarsi la fame!
I Paesi arabi: Famiglia/stato/eredi del Profeta: unico soggetto decisionale in Arabia Saudita e negli Emirati dove il potere è ancora derivato dalla “volontà di Dio” e l’economa è statale o non è.
L’Iran, l’Afganistan, la striscia di Gaza e la Cisgiordania, tutte economie statalizzate, con il doppio esito di povertà economica soperchierie urticanti.
Insomma non vedo altro che esiti tragici dalla statalizzazione della economia.
Infine la Cina. Deng Xiao Ping la pensava come me: se voleva uscire dall’imbuto dello statalismo economico maoista doveva introdurre il turbo capitalismo di Stato: la politica non sostituisce l’imprenditore con il politico o il burocrate, ma affida alla moltitudine dei privati l’esecuzione pratica del progetto, li mette in concorrenza, li protegge distorcendo il mercato (internazionale) con dumping, aiuti di Stato, calcolate lungaggini agli sdoganamenti, pirateria dei marchi altrui, eccetera: le imprese sono gestite con l’efficienza dell’imprenditore, invadono i mercati del mondo, creano ricchezza interna, ma la redistribuiscono con la asimmetria capitalistica (la Cina dell’ultimo ventennio è la maggiore creatrice di milionari).
Ma la triade del potere vero (esercito, governo – centrale e periferico – partito comunista) si riserva interventi violenti, anche personali, derivanti dalla competizione nella triade stessa: sistema opaco e non privo di pericoli ma che da Deng Xiao Ping si tiene alla larga dalle statalizzazioni
In conclusione e nel pieno rispetto delle opinioni altrui, temo come una disgrazia ogni operazione di statalizzazione economica. E la storia delle vicende umane è dalla mia parte!
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