Esiste un serio pericolo di radicalizzazione in Europa, ad opera di musulmani integralisti, cui i venti di guerra che provengono dal Medio Oriente conferiscono una linfa vitale.
Questo è un fatto, lo denuncia anche Noemi di Segni quando parla di cellule radicali che ormai possono contare appieno su piazze gremite da manifestanti estremisti e ideologizzati che invocano la cancellazione dello Stato di Israele dalle mappe geografiche
Una forma di pacifismo miope e contraddittorio che addossa le responsabilità della guerra all’aggredito e non all’aggressore e pone in capo al primo la responsabilità della pace, omettendo completamente il secondo da ogni ragionamento.
Anzi, invertendo gli addendi per mutare drammaticamente il risultato. Una mistica terzomondista con cui i progressisti hanno colonizzato le menti, anche quelle più insospettabili, che ascrive a Israele la colpa di voler resistere rispetto a chi vuole cancellarne l’esistenza dalla mappa geografica
Ma c’è un pericolo ancor più grave, se possibile. Un pericolo per la stessa sopravvivenza dell’Europa e dell’Occidente che nel giro di pochi decenni – forse addirittura anni – potrebbe subire un processo di sempre più marcata islamizzazione.
Un cambiamento che certamente non si concretizzerebbe per effetto di una lotta armata di conquista, come all’epoca di Lepanto. Una conquista per così dire “soft power” che si realizza mediante l’occupazione di aree territoriali, giuridiche e culturali nelle nostre città, nei nostri quartieri senza che nessuno dica nulla.
L’Europa sta cambiando, sta sviluppando dentro di sé delle “società parallele” sempre più numerose e radicate grazie a processi incontrollati di migrazioni di massa gli “indigeni” non possono entrare, o se vi sono già residenti, vengono guardati con sospetto e ostilità
Geert Wilders li definisce “mondi dei veli, dove le donne camminano in tende senza forma” perché lì si pratica la sharia più estrema. Interi quartieri dove le insegne dei sono in arabo, non comprensibile per gli autoctoni, diventano ghetti dominati dalle frange più radicali e fanatici.
Di fatto, intere porzioni di territorio sottratte al controllo dello Stato
E tutto ciò mentre si susseguono un po’ ovunque progetti per la costruzione di moschee sempre più grandi e maestose, che da Amsterdam a Malmo, surclassano le chiese cristiane, con il benestare delle autorità. Il pretesto è quello della libertà religiosa, il fatto che venga esercitata in completa assenza di ogni qualsivoglia responsabilità non turba nessuno. In alcune città europee, nelle scuole elementari è vietato il maiale, perché animale indegno per il Corano; sempre più mense impongono solo cibo halal, le donne vengono apostrofate con epiteti poco carini solo per il fatto di non essere velate ecc.
In Inghilterra, i tribunali della sharia sono ora ufficialmente parte del sistema legale britannico venendo recepiti nel sistema di common law che ne deliba le sentenze
Insomma, un processo di conquista senz’armi si sta dispiegando ormai da lungo tempo ed è in piena espansione tanto che la San Diego University ha recentemente calcolato che un sorprendente 25 percento della popolazione in Europa sarà musulmana tra soli 12 anni. Bernhard Lewis ha previsto una maggioranza musulmana entro la fine di questo secolo.
Ebbene questi dati sono inquietanti perché ci comunicano un dato molto chiaro: Non siamo di fronte a un processo di integrazione, bensì di assimilazione culturale.
E non in favore della cultura occidentale
In altre parole, non sono gli immigrati che interiorizzano i valori democratici occidentali, ma sono questi ultimi che vengono cancellati e sostituiti con qualcosa di nuovo e per nulla auspicablie. E, come detto, questo processo avviene , nell’indifferenza di molti e persino con la complicità di alcuni. Siamo in uno scenario che che ricorda da vicino il romanzo “Submision” di Michel Houllebeck, dove il protagonista, dopo un processo personale di riflessione interiore, trova ormai il cristianesimo occidentale debole e flaccido e decide di convertirsi all’Islam che offre una identità certa e definita.
Tale influenza culturale fa breccia nelle menti dei più giovani, e soprattutto di quelli più ideologizzati da una sinistra che, vittima di se stessa, si rende prona e complice rispetto a istanze antioccidentali che progressivamente si fanno sempre più radicali
Ne si ha piena prova – sempre secondo Wilders – con la guerra che Israele sta muovendo contro il terrorismo jihadista. Ecco, in un mondo normale le manifestazioni dovrebbero essere a favore dello Stato ebraico che sta combattendo la nostra guerra, la nostra battaglia per affermare i valori di democrazia, libertà, tolleranza ed eguaglianza.
E invece in questo mondo alla rovescia, in Occidente – molto più che in Medio Oriente – si scatenano con cadenza settimanale orde di invasati che invocano la distruzione dello Stato di Israele, accusano Netanyhau di essere un criminale di guerra, vedono i palestinesi come oppressi e aggrediti
Eppure Wilders rileva correttamente che: “Israele è la patria ebraica dopo duemila anni di esilio fino ad Auschwitz compreso; Israele è una democrazia; Israele è la nostra prima linea di difesa”.
In un progetto di jihad globale lanciato decenni orsono, Israele si trova sulla strada del progetto estremista come un ostacolo insormontabile cui dovremmo guardare con rispetto se non proprio con ammirazione, e anche con un po’ di sano egosimo.
Perché “La guerra contro Israele non è una guerra contro Israele.È una guerra contro l’Occidente”. Perché dopo “quelli del Sabato” tocca a “quelli della Domenica”.
Invero, lo Stato ebraico sta incassando per tutti noi i colpi che sono destinati contro la way of life occidentale tanto vituperata dalle nuove vestali progressiste, ma che costituisce a tutti noi di vivere in pace e in relativo benessere. “Grazie ai genitori israeliani che mandano i loro figli nell’esercito e restano svegli la notte, i genitori in Europa e America possono dormire sonni tranquilli e sognare, ignari dei pericoli incombenti” dice ancora Wilders. Ma invano.
Che cosa accadrebbe dunque, se Israele dovesse perdere la propria (nostra) battaglia?
Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Quel processo di islamizzazione per soft power cui abbiamo accennato non troverebbe più ostacoli. Anzi, troverebbe maggior forza e vigore trovando confermata nella caduta di Gerusalemme la prova provata che l’Occidente è debole e quindi destinato soccombere e ad essere sottoposto. Come sostiene Wilders “la fine di Israele non significherebbe la fine dei nostri problemi con l’Islam, ma solo l’inizio”.
Chi combatterà per i nostri valori e la nostra democrazia?
Certo non quelle falangi di esagitati che ogni sabato gridano “From the river to the see, Palestine will be free”. Come potrebbero preservarsi le bellezze di Roma, Atene, Washington?
Come difendere le nostre libertà che sono il dono più importante, risultato di secoli di lotte dure?
Ho il sospetto che l’unica risposta a queste domande sia una: Nessuno.
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