A CHI FA COMODO PUTIN?
Sono passati oramai più di tre anni da quanto Valdimir Putin ha deciso di invadere l’Ucraina accampando la motivazione di un uso anti russo del territorio ucraino da parte degli Stati Uniti e della Nato e con l’obiettivo di “denazificare” il paese governato da Zelensky.
Non è questa la sede per confermare o smentire tale lettura, fatto sta che questa costituisce il frame ideologico che fa da sfondo alla guerra che sta martoriando quei luoghi da molto tempo ormai.
Come già si sapeva sin dai tempi dell’antichità, in guerra la prima vittima è la verità, e da secoli al conflitto bellico si accompagna una propaganda serrata dell’una e dell’altra parta per sostenere le ragioni della propria azione militare
A un’analisi storica minimamente approfondita o imparziale, questo aspetto non sfugge così come non sfugge che la propaganda si nutre di mistificazione delle informazioni e dell’effetto ridondanza dato dai mezzi di comunicazione a disposizione in certo momento storico (Goebbels docet).
E proprio questo aspetto ci proietta immediatamente nel presente, attraverso l’analisi della propaganda odierna ben consapevoli che i mezzi di comunicazione di massa non sono solo più i tradizionali TV e Radio, ma per lo più i social
In tale contesto, assai fluido e deregolamentato, infatti, ciascuno può fare propaganda per la parte che più aggrada, sovente dimenticando i fatti, piegando le analisi alle convenienze e alle simpatie del momento con la conseguenza che un minimo di senso critico e di principio di realtà si sempre più sfumato fino a scomparire.
Naturalmente, se ciò viene posto in essere da semplici utenti, la cosa ha una sua gravità. Quando a farlo sono i parlamentari della Nazione, la gravità è moltiplicata all’ennesima potenza.
Ed ecco che da una parte, si insiste su un Putin come novello Hitler da fermare a tutti i costi, da battere sul campo militare, da ostracizzare dal consesso politico e con lui tutto ciò che è russo. Dalla lingua, agli autori classici, agli sportivi e ai cantanti
D’altro lato, del pari, l’Occidente diventa il nemico, il flaccido ventre molle di una morale ormai perduta a fronte della quale è necessario restaurare “l’uomo russo” con la sua tradizionalità, il suo valore, la sua storia. E l’Ucraina invece diventa covo di nazisti contro cui combattere memori della gloriosa armata russa che da Stalingrado prese Berlino.
Insomma insieme agli eserciti, si scontrano anche due visioni del mondo: del suo passato, del presente e quindi del futuro. Visioni distorte, piegate faziosamente, utilizzate ciascuno “pro domo propria
. Ebbene in questo gioco delle parti e in questa babele di punti di vista, dove la competenza è requisito necessario ma non sufficiente (spesso nemmeno necessario), allorché i fatti perdono la loro consistenza effettiva, il conflitto diventa simile a un match sportivo dove si tifa per la propria squadra aprioristicamente, come un atto di fede.
Una dogmatica presa di posizione, del tutto indifferente alla realtà. Il mondo perciò si divide in modo manicheo in bene e male
Dove il bene è rappresentato dalla propria fazione, e il male inesorabilmente in quella nemica. La grande lezione cinese rappresentata dallo Yin e dallo Yang viene rimossa. L’dea che nel bianco vi sia il nero e nel nero il bianco -cioè che ciascuna delle parti in causa potrebbe avere un minimo del punto di vista avversario, che costituisce la base del confronto democratico – non è contemplato.
Questo naturalmente non significa abdicare alle proprie opinioni, ma semplicemente non considerarle come dogmi di fede.
E questo è un effetto parossistico che riguarda tanto l’una quanto l’altra fazione. La realtà viene ignorata, preferendo ammantare di nobili concetti le proprie idee. Così, da un lato i filorussi sono coprono la loro visione con un pacifismo di facciata, del tutto ideologico. Dall’altro lato, i filoucraini aderiscono alla relativa visione del mondo, autoinvestendosi del ruolo di difensori a oltranza della democrazia e tacciando di essere fake news e propaganda, tutto ciò che contraddice il mainstrea
Ora, se tutto questo fosse limitato ai social, coma pubblica (si fa per dire) agorà in cui si scontrano improvvisati demagoghi, la cosa sarebbe persino divertente. Un gioco di retorica in cui vince il migliore nel convincere gli altri della propria posizione. Anche se a tal proposito consiglierei un giochino simpatico che si fa nei corsi di negoziazione: imparare a difendere il punto di vista opposto alla propria idea e vedere l’effetto che fa.
Il problema è che, come detto, questo metodo infantile si estende anche ai politici, ai decisori, a coloro che hanno in mano il futuro dell’umanità intera (non credo sfuggano le implicazioni di una guerra nucleare) e che, proprio per questo, dovrebbero essere ben cauti nel tifare l’una o l’altra parte
E invece così non avviene. Il putinismo, al pari del fascismo, diventa categoria ontologica, uno stato dell’essere, un virus che infetta immediatamente allorchè ci si discosti dalla visione consueta degli europeisti “a la carte”. Guai a problematizzare, a uscire dalla logica per cui Putin è il male assoluto. Chi lo fa è colpito immediatamente dall’accusa di fare “intelighentia con il nemico”.
E allora ecco che chi non condivide la narrazione per cui la guerra è alle porte, chi contesta kit di sopravvivenza o l’invito alla coltivazione di ortaggi varie ed eventuali, viene immediatamente stigmatizzato come putiniano, quindi indegno di esprimere un parere, delegittimato nel pensiero, trattato da prigioniero intellettuale di guerra
In Russia, d’altra parte è lo stesso, con la drammatica differenza che chi avanza dubbi finisce per sperimentare l’altezza dei cieli moscoviti, senza ali. O rinchiuso in prigione fino a morte naturale o meno.
Insomma, da una parte c’è la morte sociale, dall’altra la morte fisica. Non proprio il massimo per chiunque provi ad azionare il cervello e cercare di distinguere il grano dal loglio.
Si badi bene, come detto sopra, non si negano minimamente le influenze russe nella propaganda portata avanti in Occidente da vari soggetti, alcuni persino stipendiati ad hoc. Ma si rivendica il diritto di criticare le scelte e le narrazioni di chi vorrebbe portarci in guerra domani e a ciò prepara le opinioni pubbliche mondiali a suon di slogan, di allarmismi, magari in attesa di un propizio evento scatenante
A questo francamente non ci stiamo e rivendichiamo il diritto di parlare ed esprimere opinioni contrarie al mainstream senza per questo doverci sentire complici di guerra. Questo in generale, a maggior ragione dopo tre anni in cui le magnifiche sorti e progressiva di una Russia sconfitta sul piano militare e prostrata su quello economico sono ancora tutte da dimostrare.
Non crediamo, dunque, che mettere in guardia contro il bellicismo imperante nella weltaschaung europista significhi deludere o infangare i morti
Ma riteniamo, al contrario, che dove ancor vige il libero pensiero sia un obbligo morale esprimere la propria opinione. IN caso contrario, ci troveremmo paradossalmente in una sorta di dittatura del pari a quella che si contesta.
Il problema investe la qualità della nostra democrazia. Perché fino a che è il singolo utente del web a finire sotto gogna, l’effetto è grave ma limitato. Quando invece emergono, a livello internazionale, centrali occulte che bastonano tutti coloro i quali intendono contribuire la dibattito sulla base di visioni diverse da quelle prevalenti, la cosa si fa assai più seria.
E a maggior ragione quando per fare questo vengono utilizzati quei corpi intermedi che, invece, dovrebbero assicurare la qualità della nostra democrazia a differenza dei regimi illiberali, a cui, pare, pur contestandoli nella forma, ci avviciniamo sempre più nella sostanza
Perciò, oggi una domanda ce la dovremmo pur porre: a chi fa comodo realmente Putin e il putinismo?
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