Adesso Putin minaccia la pace
La strategia di Putin e il suo fallimento:
Dopo tre anni di conflitto e oltre 700.000 vite spezzate, la Russia di Vladimir Putin minaccia ancora la pace mondiale.
Questo conflitto, iniziato con il pretesto della “denazificazione” dell’Ucraina, ha portato solo devastazione, rivelando l’ambizione imperialista del Cremlino e la debolezza intrinseca di un sistema che tenta di nascondere il proprio declino dietro la forza militare
Chi invoca una pace a ogni costo non fa altro che favorire un aggressore che si è dimostrato spregiudicato nel perseguire i propri obiettivi geopolitici.
Il Cremlino, tra pretesti e realtà, ha fatto in modo di far accettare ai russi l’invasione dell’Ucraina, giustificata da Putin con argomentazioni pretestuose come la “denazificazione” e la necessità di proteggere la popolazione russofona.
Tuttavia, la realtà dei fatti racconta una storia diversa. La leadership russa ha sfruttato vecchi cliché propagandistici per giustificare un’aggressione volta a riportare Kiev nella propria sfera d’influenza, ignorando la sovranità di uno Stato indipendente. Il contrasto tra le dichiarazioni di Putin e le azioni dei suoi uomini, tra cui Prigožin, leader del gruppo Wagner e figura nota per le sue simpatie naziste, smaschera l’ipocrisia della retorica russa.
La strategia di Putin ha incluso:
La destabilizzazione politica: con il supporto a leader filo-russi e operazioni di disinformazione per seminare divisioni interne in Ucraina.
L’annessione della Crimea (2014): un primo passo per testare la risposta occidentale.
L’invasione del Donbass: con il sostegno a milizie separatiste, utilizzando la regione come campo di battaglia per un conflitto a bassa intensità.
L’attacco del 2022: un’invasione su vasta scala, accompagnata da offensive condotte dalla Bielorussia e da campagne di bombardamenti indiscriminati.
Questi piani, tuttavia, si sono scontrati con la determinazione del popolo ucraino, che ha dimostrato una capacità di resistenza straordinaria, supportata dall’Occidente.
L’attuale situazione economica russa vede un Paese in ginocchio, contrariamente a quanto aveva assicurato Vladimir Putin agli amici oligarchi, molti dei quali sono “accidentalmente” caduti con tragiche conseguenze
Nonostante l’apparente resistenza del regime di Mosca, la Russia sta pagando un prezzo altissimo per questa guerra. Gli indicatori economici dipingono un quadro desolante:
Inflazione al 21%: con un aumento dei prezzi che colpisce duramente la popolazione.
Erosione delle riserve valutarie: costrette a coprire il deficit derivante dalle sanzioni occidentali.
Crollo del PIL militare: con il 35% del PIL destinato alle spese belliche, sottraendo risorse vitali a settori civili
Nonostante gli sforzi della governatrice della Banca centrale, Elvira Nabiullina, e l’adozione di misure straordinarie per sostenere il rublo, l’economia russa è incapace di reggere il peso di un conflitto prolungato. A peggiorare la situazione, la fuga di talenti e investitori ha lasciato un vuoto che Mosca fatica a colmare.
Putin ha commesso un errore fatale sottovalutando l’Ucraina, probabilmente vittima lui stesso della retorica campanilistica sovietica che vedeva i Paesi satelliti solo come succubi e popolati da inermi e vili.
Un elemento chiave del fallimento russo è stato sottovalutare la forza di volontà ucraina. L’elezione di Volodymyr Zelensky, un presidente filo-occidentale con un chiaro mandato per rafforzare i legami con l’Europa, ha segnato un punto di non ritorno. Putin ha tentato di destabilizzare il governo di Kiev con una strategia di “shock and awe”, lanciando attacchi massicci e minacciando direttamente la leadership ucraina
Tuttavia:
La resistenza dell’esercito ucraino, ben addestrato e armato dall’Occidente, ha fermato le offensive iniziali.
Il sostegno popolare a Zelensky, cresciuto esponenzialmente dopo l’invasione, ha consolidato il fronte interno.
Il ruolo dell’intelligence occidentale, che ha fornito dati cruciali per anticipare le mosse russe, ha impedito un rapido collasso di Kiev
Mentre in Italia il dibattito pubblico sulla guerra in Ucraina è dominato da due categorie di pensiero:
1. Gli analfabeti economici: coloro che ignorano le difficoltà della Russia e credono in una sua capacità di resistenza indefinita.
2. I dissimulatori della resa: figure che, consapevoli della debolezza russa, promuovono la “pace” come copertura per evitare il collasso del regime di Putin.
Entrambe le posizioni trascurano il fatto che una resa ucraina non significherebbe pace, ma piuttosto un precedente pericoloso che incoraggerebbe future aggressioni.
L’Europa, di fronte a questa crisi, mostra le sue debolezze strutturali, sempre più simile alla Bisanzio del 29 maggio 1453 che a un’unione capace di imporsi a livello internazionale, sia economicamente che politicamente
La mancanza di un’unità politica estera e di un esercito comune, insieme all’assenza di un vero esecutivo, rendono il continente diviso e vulnerabile. Il male di sempre è la lentezza decisionale: da troppo tempo siamo intrappolati in dinamiche interne. L’UE fatica a rispondere con la necessaria rapidità. Il sistema dei veti e la mancanza di una figura eletta direttamente dai cittadini con incarichi di governo, come avviene negli Stati Uniti con l’elezione del Presidente, ci rendono inefficaci, per non dire inutili, a livello internazionale.
Tuttavia, la guerra in Ucraina offre anche un’opportunità per un ripensamento strategico. Una maggiore integrazione militare e politica potrebbe rafforzare il ruolo dell’Europa sulla scena mondiale. La vera sfida della guerra in Ucraina non è solo una lotta per il territorio, ma una battaglia tra due visioni del mondo: una basata sull’autocrazia e l’imposizione, l’altra sulla libertà e l’autodeterminazione. Ignorare questa realtà significa abdicare ai valori fondamentali su cui si basano le democrazie occidentali.
L’Europa, e l’Italia in particolare, devono agire con determinazione, riconoscendo che la pace autentica non può essere raggiunta attraverso la resa, ma solo difendendo la giustizia e i diritti fondamentali
Come se non bastasse, una Russia perdente non gioverebbe, paradossalmente, a chi vuole fare aumentare il contributo nelle quote di partecipazione della NATO per i Paesi europei, di fatto costretti ad aumentare le proprie spese militari proprio da chi, a Occidente, chiede la pace in Ucraina “costi quel che costi”.
Putin può resistere a tutto, ma non al crollo della credibilità. Ad oggi, con l’ex alleato siriano esiliato a Mosca perché spodestato, la credibilità di Mosca come sostenitore militare è annullata.
L’Occidente, venuto meno Navalny, l’unico oppositore degno di credibilità sul territorio russo, non sa cosa augurarsi. Una resa potrebbe essere il preludio a un cambio di potere al Cremlino da non augurarsi. Tuttavia, neanche una pace forzata sarebbe una soluzione adeguata, rischiando solo di premiare un despota in difficoltà.
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