I Talebani stanno per completare la riconquista dell’Afghanistan dopo il ritiro delle truppe Statunitensi. Che vi sono rimaste per venti (venti!) anni, speso centinaia di miliardi di dollari e donato migliaia di vite alla causa della pacificazione di questo povero agglomerato di montagne rocciose e deserti.
Come gli inglesi nel diciannovesimo secolo e i sovietici nel ventesimo, gli americani non hanno saputo risolvere il rompicapo delle tribù afgane. Da secoli vengono conquistate a gran fatica e spargimento di sangue, riunificate brevemente, per poi finalmente cacciare gli invasori e riprendere a guerreggiare allegramente fra di loro.
L’Afghanistan infatti non è una nazione, ma un costrutto artificiale di potenze straniere che hanno deciso di calare una carta decisiva nel ‘grande gioco’ centro-asiatico. Ultimi contagiati da questa smania gli statunitensi, che visto i pregressi avrebbero dovuto avere la saggezza di fare i bagagli una volta ucciso Osama Bin Laden. Il quale, guarda caso, si era rifugiato in Pakistan (avevamo detto che le tribù afgane non amano gli invasori?).
Invece i neoconservatori e i loro successori, per ragioni diverse, si sono fatti prendere dal miraggio della trasformazione, della democratizzazione. Volevano conquistare cuori e menti. Dove l’avevamo sentita questa? Vietnam? Sappiamo tutti com’è andata a finire anche là.
Questa volta durata di più perché gli USA hanno ora un esercito professionistico. Quindi i figli dei ricchi non hanno rischiato niente, e hanno minimizzato le vittime militari il più possibile.
Il pubblico Americano si è quindi svegliato dopo vent’anni di guerra in Afghanistan e si è sorpreso del risultato. Alcuni ambienti della stampa americana gridano al tradimento dei poveri afghani. Altri tirano un sospiro di sollievo alla fine di un’avventura che aveva perso di significato: una guerra in cerca di un perché.
Cosa rimane di questo paese?
Quello che rimane sono un paese devastato di nuovo sotto il giogo dei Talebani e una solenne figura di merda (perdonate il francese) della superpotenza che tutti amano odiare ma di cui nessuno può fare a meno dalla nostra parte del globo.
Rimane anche l’impunità degli architetti della politica estera statunitense, quelli che Nassim Nicholas Taleb ha chiamato gli ‘interventisti’: esperti di politica estera che prendono abbagli enormi senza alcuna ripercussione sulla propria pelle.
L’amministrazione Bush II ne era piena, ma non mancavano neanche in quella di Obama (come sta la Libia oggi? Tarallucci e vino?).
Questi intellettuali-burocrati sono una piaga senza fine. Una piccola proposta: il primo che propone una guerra, dovrebbe mandare un figlio a combattere. Scommettiamo che qualcuno ci pensa un paio di volte? Aspettiamo fiduciosi.
O forse aspettiamoci che in una trentina d’anni i cinesi si impelaghino anche loro in Afghanistan: l’ultima potenza a impantanarsi nel secco cuore dell’Asia centrale – sembra un passaggio obbligato ormai.
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