“AGENTE SIONISTA” E’ DIFFAMAZIONE: UNA PRONUNCIA INGLESE SVELA IL MECCANISMO DELLA PROPAGANDA
Una rondine non fa primavera. Ma sono segnali. Ogni tanto capita che qualche pubblico personaggio assai incline a lanciarsi in anatemi anti-israeliani e troppo prodigo di giudizi avventati ne paghi le conseguenze in sede giudiziaria. Troppo poco per dire che il vento sta cambiando, ma sicuramente un segnale.
E quando il personaggio pubblico in questione è Roger Waters – co-fondatore dei leggendari Pink Floyd, non uno chef Rubio qualunque, per intenderci – il segnale dovrebbe arrivare forte e chiaro.
Un giudice a Londra ha condannato la rockstar la quale aveva apostrofato un giornalista “come portavoce sionista che supporta il genocidio del popolo palestinese”. La colpa del giornalista, agli occhi di Waters era quella di non aver definito quanto accade a Gaza un genocidio.
E così, mentre in Italia un gruppo di ebrei lancia un appello contro la “pulizia etnica a Gaza” (riferendosi al piano di Trump di trasferimento dei gazawi), rischiando di spaccare la comunità ebraica e rendendosi obiettivamente ridicolo, in Inghilterra un giudice finalmente inizia a smascherare la sostanza di un giochino perverso che utilizza un sillogismo artistotelico per attaccare chi non si uniforma al mainstream propal e terzomondista.
La manipolazione linguistica – triste metodologia utilizzata con reiterata frequenza dai progressisti in ogni campo dello scibile umano – è ben riassunta sul Riformista di ieri dal perfetto Iuri Maria Pardo.
In sostanza la premessa maggiore è che ciò che compie Israele a Gaza è un genocidio. E si tratta di una premessa ineliminabile, incontestabile del tutto inamovibile in questo diabolico sillogismo.
La consequenziale premessa minore è che tutti quanti dovrebbero condannare il genocidio. Perché nell’umana natura di gente per bene il genocidio di un popolo non può che essere condannato.
Già nel rapporto tra maggiore e minore si esplicita bene l’ineffabile perversione. Il falso della premessa maggiore si incontro con il vero della premessa minore, e quindi nella confusione concettuale scatta la conclusione diabolica: se non si condanna il genocidio si è complici del genocidio.
Poco importa, se la premessa maggiore è falsa, ormai la trappola è scattata.
A questo punto, sul malcapitato che non dovesse condividere la ricostruzione pro pal, cade inesorabilmente lo stigma che, a seconda dei casi, prende le forme di “razzista” “nazista” (sic!), “agente sionista” (qualunque cosa ciò voglia dire).
Chi non sposa la tesi genocidiaria, e quindi per proprietà transitiva la supporta, perde la propria umanità, il proprio pensiero ridotto a propaganda del carnefice sionista. Non importa se quel pensiero è storicamente fondato, foriero di prove che mettono in discussione la premessa maggiore. Finisce inesorabilmente nel tritacarne. In tal modo delegittimato, non rimane altro che tacere, oppure denunziare come ha fatto opportunamente il giornalista.
Ma ciò non toglie l’inversione dell’ordine delle cose! Il pro palestinese diventa il buono, onesto e dalla parte dei più deboli (o presunti tali), e chi invece osa negare che a Gaza si stia compiendo un genocidio diventa automaticamente un mostro, ignorante e collaborazionista.
A maggior ragione se ebreo! In quel caso lo stigma è doppio. Non solo collaborazionista con lo sterminio dei palestinesi, ma persino, in quale modo, parte del sistema sionista che perpetra l’abominio.
Ben si comprende che in tal modo si uccide il pensiero critico, si impedisce un libero scambio di opinioni e in altre parole si assurge al totalitarismo delle idee. Tutto questo mentre, nella forma, si continua ad accusare sistematicamente qualcun altro di essere fascista!
Sotto certi aspetti è un meccanismo geniale! Al punto che viene da sospettare che dietro una simile macchinazione culturale vi siano dei professionisti (non certo Waters, intendiamoci) e che la propaganda pro pal non sia gestita solo da quattro scalmanati da centro sociale. Da questo punto di vista la cosa è assai preoccupante, e risponde alla sempreverde consapevolezza che se si incide sul linguaggio e se ne si disarticola la logica, si orienta il pensiero individuale e collettivo in una certa direzione.
E se si va a ben guardare, questo schema viene applicato su altri temi ritenuti caldi dalla sinistra. L’esito è il medesimo: se non accedi al pensiero unico progressista, automaticamente sei tacciato con qualche etichetta più o meno diffamatoria.
Evidentemente e finalmente qualcuno a Londra se n’è accorto e ha punito Roger Waters con una condanna per diffamazione.
Non ci resta che aspettare e sperare che prima o poi se ne accorgano anche i magistrati italiani.