Parma – Ci sono due modi di stuprare la cultura, la storia, l’arte, i grandi del passato: uno è quello di distruggere opere, tracce e memorie, secondo il delirio giacobino della cancel culture che si accanisce contro statue, monumenti e pagine di storia. L’altro è quello di adattarli al nostro tempo, forzarli nella nostra attualità, costringerli a vestire i panni del nostro conformismo e delle sue mode, fino a renderli ridicoli.
Un’operazione miserabile di questo tipo è stata lanciata a Parma per il Festival dedicato a Giuseppe Verdi. Un Verdi trans, in gonna e giacchino fucsia, travestito da Queer, ridotto alla banalità del nuovo conformismo lgbtq+, il nuovo catechismo dei nostri giorni, usato per rilanciare il solito ossessivo refrain sulle identità e i gender. Che un artista ansioso di farsi notare, di far parlare di sé, possa usare questo espediente rientra nella routine della meschinità. Di solito l’assenza di talento viene compensata col pretesto di “provocare”, di richiamare l’attenzione con atti osceni, blasfemi o stupidi che hanno la parvenza della stravaganza ma assecondano i nuovi luoghi comuni.
La Queer night
Ma è grave che a questi stupri si presti un teatro di grande prestigio e di lunga tradizione, e il Festival dedicato a Verdi. Secondo la direttrice del Teatro Regio di Parma, che è pure direttrice artistica del Festival Verdi, Anna Maria Meo: “La Queer night vuole rendere omaggio alla modernità di Verdi” e al suo anticonformismo. Con la scusa della modernità, si violenta la figura di Verdi, la si riduce al metro piccino e al vezzo frou frou dei nostri giorni, lo si piega al nuovo bigottismo ideologico rivestito di frivolezza e finta trasgressione.
Proprio perché Verdi era anticonformista, non possiamo costringerlo a seguire il conformismo del nostro tempo e sottoporlo al petulante catechismo omotransgender proposto in tutte le salse e in tutti i contesti.
Sappiamo quanti scempi si stanno compiendo da alcuni anni sulla cultura classica su opere e personaggi antichi ridotti ai canoni piccini della contemporaneità e alle sue mode più banali. Ritenere poi che questi espedienti, queste banali civetterie travestite di creatività e di trasgressione servano per avvicinare i giovani a Verdi e all’opera, significa avere una considerazione pessima sia della musica e dei musicisti che dei giovani e della loro sensibilità.
Verdi trans
Ma davvero pensate che un Verdi trans possa suscitare nei giovani attenzioni e perfino ammirazione altrimenti negate alla sua musica, in virtù della sua appartenenza alla sua epoca e ai suoi costumi? Allora, se questo è il metodo, per avvicinare alla storia, alla religione e alla letteratura, travestiamo pure Giulio Cesare e Gesù Cristo, Omero e Dante, e tutti i grandi del passato? E che dire dei filosofi, trasformiamo Platone in Platinette, e gli artisti li mandiamo tutti al gay pride per renderli più attuali e più interessanti? Per svegliare interesse verso il loro pensiero, la loro arte, le loro imprese, li travestiamo tutti da Queer?
Non è propriamente da idioti ridurre tutto ciò che è alto, grande, lontano, alla piccineria di chi guarda, al suo habitat, ai suoi giorni e alle sue mode?
Un tempo si diceva saggiamente che siamo nani sulle spalle di giganti. Ora i nani sono scesi dalle spalle dei giganti e pretendono di nanizzare pure i giganti, per livellare tutti alla loro statura. Così finiscono le civiltà e di loro resta solo la caricatura.
MV, La gazzetta di Parma
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