Alain Cocq non vuol più morire, né in diretta Facebook né da solo. Ha cambiato idea, chiedendo di poter essere nutrito nuovamente.
E questo getta ombre inquietanti sulla presunta capacità di autodeterminarsi a compiere un gesto così estremo. E sulla possibilità di poter cambiare idea, al di là di ciò che si possa aver affermato o scritto.
Come si concilia ciò con le Dat, disposizioni anticipate di trattamento?
Con la cultura tutta nordica di far sentire gli anziani e i malati inutili ed un peso, inducendoli surrettiziamente a farsi da parte, a sparire?
Di Cocq era stato fatto un simbolo, con titoloni e servizi su giornali e tv, ora che ha scelto la vita, l’oblio.
Con buona pace della cultura di morte, eutanasica ed abortista, propria della sinistra mondialista.
Era assurto ad un simbolo, ora i paladini della eutanasia hanno spento i riflettori e l’hanno abbandonato, delusi dalla sua decisione.
“La strada per la liberazione inizia e, credetemi, sono felice”, aveva detto il 57enne francese Alain Cocq.
Il presidente Macron aveva respinto la sua richiesta di eutanasia e lui decise di lasciarsi morire in diretta Facebook, come aveva preannunciato fin dall’inizio.
Per questo era sceso in Piazza con i Gilet gialli, diventandone la masquotte.
Alain Cocq, residente a Digione, in Francia, aveva scoperto a seguito di un intervento all’età di 23 anni di essere affetto da una rarissima malattia che provocava “assenza o insufficienza della circolazione sanguigna all’interno degli organi e dei tessuti”.
Così l’uomo aveva fatto sapere al mondo che a causa della sua malattia si sarebbe lasciato morire di fame e di sete.
Ma ha cambiato legittimamente idea.
La protesta, portata avanti in diretta Facebook
Cocq aveva annunciato di voler morire per privazione di cibo e acqua, smettendo di nutrirsi il 4 settembre scorso: erano 30 anni che il francese, affetto da una patologia che lo aveva paralizzato gli arti inferiori, combatteva per l’ampliamento della norma in senso eutanasico.
Sempre solo e senza familiari al suo capezzale, aveva fatto di questa battaglia la sua ragione di vita legandosi agli attivisti radicali dell’Association pour le Droit à mourir dans la dignité, ma alla fine Cocq ha mollato il colpo e ha chiesto di essere alimentato e idrato di nuovo, preferendo la sua vita di malato a una morte tale: “Non ero più in grado di condurre questa battaglia”.
Lunedi scorso, l’uomo è stato ricoverato
Ora è all’ospedale di Digione, dove risied.
Sophie Medjeberg, vice-presidente dell’associazione Handi-Mais-Pas-Que, che ha sostenuto Cocq nella sua battaglia, aveva dichiarato alla stampa che temeva che fosse stato “portato in ospedale contro la sua volontà”.
Ma lui stesso l’ha poi smentita sottolineando che tutto era accaduto “con il suo consenso” e che “fra 7 giorni, al massimo 10 sarò a casa”. Perché, ha continuato, “è ora di recuperare un po’ e creare una squadra di ricovero a casa” .
La morte per fame e sete, il metodo con cui sono stati uccisi Eluana Engrlaro, Vincent Lambert o Terry Schiavo, è una fine tremenda, come ebbe a dire la madre di Lambert, Viviane: “Siamo stati costretti ad assistere al crimine commesso su Vincent. È stato terribile per noi. Siamo scioccati e arrabbiati”.
Autodeterminazione da sani, condanna da malati
I temi toccati in questo articolo sono delicatissimi, e per questo comportarsi come se si avesse la verità in tasca è quantomeno poco consono e prudente.
Da ambo le parti.
Dalla parte della vita, quando le sofferenze sono maggiori delle speranze di ripresa o mitigazione delle stesse.
Dalla parte della “dolce morte” che, soprattutto per mancata nutrizione o idratazione, poi dolce non è.
Propugnare le proprie idee sulla pelle degli altri è odioso, in entrambi i sensi, ciò che i media hanno fatto, ponendo dapprima l’accento sulla volontà di morire e poi non segnando nemmeno di un diritto di replica al cambiamento di idea non ci piace.
Non ci piace perché la cultura della morte ormai campeggia nei palinsesti tv e internet: eutanasia ed aborto, anche al nono mese o con una semplice pillola senza un percorso adeguato, vengono rivenduti come la normalità.
Ma normalità non sono.
La vicenda dimostra che autodeterminarsi per la morte o contro l’accanimento terapeutico da sani è ben diverso da dover poi accettarne le conseguenze dolorose quando si è deboli ed indifesi, e magari più nessuno da peso alle nostre parole.
Quando ormai siamo considerati solo un peso per famiglia e società.
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