A Roma, sul tetto di casa mia, abita una coppia di gabbiani. Ha fatto il nido tra le tegole, lei ha partorito e svezzato il piccolo. L’ho visto crescere, nascono brutti e grigi, poi migliorano. Ho visto arredare la loro casa, lei che covava la sua maternità, lui che andava fuori per lavoro e poi rientrava.
Una famiglia normale, rarità di questi tempi, anzi rara avis, come dicevano i latini alludendo agli uccelli (un mio compagno di scuola confuse avis con aviae e tradusse come in un quadro di Magritte “le nonne volano nel cielo”). Un gabbiano in pieno centro non è più una rarità, soprattutto se c’è una pescheria che li fa sfama e li fa sentire nel loro habitat naturale, tra odori di pesce. I gabbiani scendono a mensa in pescheria, dialogano col pescivendolo in gergo ittico-aviario; lui parla agli uccelli e moltiplica i pesci ma non è un santo.
Però col tempo i gabbiani sono diventati isterici, strillano in continuazione, si beccano, si fanno scenate. Soprattutto il pischello, è venuto su nevrastenico. Vivere in città li ha stressati. Conosco gabbiani che vivono sul mare, sono sereni e leggiadri, si godono la vita, a sud si fanno pure la controra dopo pranzo. A Roma invece sembrano femministe inacidite, beppegrilli in comizio.
Roma corrompe anche loro, li rende sgarbatelli. Aggressivi. Erano il simbolo della libertà, invece stanno sempre qui, ai domiciliari, a litigare. Fanno rumori pazzeschi anche di notte, come se spostassero mobili e camminassero con gli zoccoli. In città sono contronatura, che dite se li sfrattiamo? Non provarci sennò passi per zoofobo. Vedrete, in virtù dello ius soli, o ius tetti, i gabbiani saranno prima regolarizzati e poi riconosciuti come coppia di fatto. Se ti danno fastidio, smamma tu, vedi d’annatte, mi suggerisce col becco il gabbiano, forte dell’appoggio sindacale e delle ong pro gabbiani.
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