ANTIFASCISMO E ANTICOMUNISMO ENTRERANNO NEI TEMI DELLA CAMPAGNA ELETTORALE PER LE PROSSIME REGIONALI?
CHI VIVRA’ VEDRA’!
Nell’intervista che il 12 ottobre scorso ha rilasciato a “La Nazione”, Alessandro Tomasi (indicato tra i possibili candidati a competere per le prossime elezioni regionali per la coalizione di centrodestra) a specifica domanda, ha risposto che lui è “assolutamente antifascista, avendo giurato, come Giorgia Meloni, sulla Costituzione antifascista e anticomunista”.
Naturalmente, nell’intervista si parla anche di altro: si parla di primarie di coalizione, di multiutility, delle questioni che attengono alla coalizione di centrodestra, del coinvolgimento delle liste civiche, delle possibilità di vittoria in Toscana, della FI-PI-LI e altro ancora.
E allora perché, a circa 80 anni dalla fine del fascismo, a un candidato di centrodestra si continua a chiedere se sia “antifascista”, mentre a un candidato di centrosinistra non si chiede mai se sia “anticomunista”?
Per qualcuno la domanda potrebbe essere fuori dal tempo, un inutile orpello pretestuoso per evitare di affrontare i macrotemi che, in Toscana, stanno dividendo, tra tutti, anche il partito che governa la regione.
Ma, se riflettessimo senza farci prendere dall’inevitabile fastidio che, in sé, la domanda potrebbe creare in chi non ne può più di sentirsi ripetere sempre lo stesso ritornello, ci renderemmo conto che, nonostante la sua apparente inutilità, essa nasconde quella maliziosa tendenza a far passare i candidati di centrodestra, soprattutto se di partiti come Fratelli d’Italia, per coloro i quali provano imbarazzo a dire che sono “antifascisti”: in ciò sottintendendo che provano imbarazzo perché ancora legati “idealmente” ai modi e ai metodi del fascismo.
Adusi a questo vezzo, come è noto, sono tutti coloro i quali sventolano la “presunta” superiorità culturale della sinistra, escludendo altre visioni che non facciano parte di questa pretesa egemonia, mutatis mutandis, da minculpop
Ma costoro, come è altrettanto noto, non sono mai stati capaci di aggiungere al loro essere “antifascisti”, il loro essere “anticomunisti”: come se, in un rapporto di malefica influenza tra due ideologie totalitarie, una – quella fascista – sia il “male assoluto” (per usare parole che furono di Gianfranco Fini nel 2003 allorché si recò in visita in Israele da ministro degli esteri), mentre l’altra – quella comunista – non abbia portato a violazioni dei diritti umani, a repressioni politiche, a violenze e persecuzioni.
In ogni campagna elettorale o appuntamento politico di rilevanza nazionale o locale, la critica politica ai partiti di destra (ieri MSI e Alleanza Nazionale, oggi Fratelli d’Italia nonostante esprima la prima premier donna della storia repubblicana) è sempre stata quella che, non dichiarandosi esplicitamente “antifascisti”, abbiano manifestato e continuino a manifestare una mancanza di rispetto per la storia e i valori democratici del Paese, con ciò alimentando paure riguardo alla possibilità di ritorno di ideologie estremiste
Ancora oggi, nonostante Giorgia Meloni, democraticamente eletta, sia la presidente del consiglio di tutti gli italiani e leader di un partito (Fratelli d’Italia) in cima ai consensi degli italiani dopo due anni di governo insieme alla coalizione di centrodestra, all’esame di “antifascismo” sembra non essere in grado di ottenere neanche la sufficienza dai soloni della sinistra che, legibus solutus, continuano a ritenere che la democrazia italiana debba essere antifascista per proteggere i valori di libertà, uguaglianza e fraternità; che l’antifascismo sia stato un elemento fondamentale nella lotta di liberazione dal nazifascismo; che i partiti di destra devono prendere una posizione chiara contro qualsiasi forma di neofascismo.
Per cui, in mancanza di questa captatio benevolentiae, ogni candidato di centrodestra, quantunque estraneo per nascita, origine e tradizione al fascismo; quantunque esimio esponente dell’Italia democratica e repubblicana; quantunque democraticamente eletto; quantunque persona riconosciuta capace di affrontare con competenza i temi che la politica deve affrontare per governare il mondo che cambia (attitudine, peraltro, già dimostrata nel governo del Paese, di regioni e comuni: tra i quali sette capoluoghi di provincia in Toscana); deve sempre superare l’esame di antifascismo e, nonostante lo dica in occasioni pubbliche e ufficiali (come ha più volte fatto Giorgia Meloni, non ultima in occasione della commemorazione di Giacomo Matteotti quando, in parlamento, ha chiarimento detto che il deputato socialista fu ucciso da sicari fascisti), i soloni della sinistra autoritenutasi culturalmente egemone continuano ostinatamente a ripetere lo stesso ritornello: “che a destra dicano di essere antifascisti”!
Ed ecco perché Alessandro Tomasi ha fatto bene, da subito, a chiarire la sua posizione rispetto alla storia repubblicana in previsione della prossima campagna elettorale per le regionali in Toscana, e lo ha fatto da uomo politico di centrodestra, possibile candidato alle elezioni per l’intera coalizione di centrodestra, sgombrando subito il campo dicendo che lui è “assolutamente antifascista, avendo giurato, come Giorgia Meloni, sulla Costituzione antifascista e anticomunista”.
Per cui ora, in fatto e in diritto, dovrebbe essere possibile per Tomasi parlare di temi politici, economici, culturali da una posizione di riconosciuta “titolarità democratica antifascista e anticomunista”.
Ma, a questo punto, per par condicio, anche il candidato del centrosinistra dovrebbe fare la stessa dichiarazione, e dire che, anche lui è “assolutamente antifascista e anticomunista”: fosse solo in ossequio alla risoluzione del Parlamento Europeo del 19 settembre 2019 sull’importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa che equipara il nazismo e il comunismo come forme di totalitarismo, sottolineando la necessità di rifiutare ogni tipo di totalitarismo.
Ne saranno capaci? Chi vivrà vedrà!
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