Arcilesbica accusata di transfobia

Imbrattata la sede di Bologna per le posizioni contrarie al DDL Zan

Arcilesbica

Imbrattata ieri sera la sede nazionale di Bologna di Arcilesbica.

Ignoti hanno lasciato una scritta con un insulto e hanno cancellato il nome dell’associazione con la vernice nera.

Con mano evidentemente e visibilmente maschia e testosteronica, checché se ne voglia dire. Lo Spray ha rivelato il maschilismo tossico degli autori trans. Contro le femministe e lesbiche.

L’accusa di violenza fascista era già pronta ma è dovuto rimanere in canna.

A parte la facile ironia, sono gesti esecrabili che rivelano l’assolutismo e la violenza di fondo di chi sostiene l’approvazione di un disegno liberticida ed assolutista.

Arcistronze e Rabbia Trans campeggiano ora  sulla facciata della sede di Arcilesbica.

Le reazioni

 

Gli insulti, firmati con il nome di ‘rabbia trans’, dipendono dal fatto che ArciLesbica appoggia la legge contro l’omofobia ma con una richiesta di emendamenti sul ddl Zan‘- ha spiegato Cristina Gramolini, la presidente di Arcilesbica nazionale -. Rattrista assistere alla penetrazione nella comunità Lgbt di forme di intimidazione crescente”.

Ma perché movimenti di sinistra apparentemente vicini sono così ai ferri corti?

Perché le lesbiche sono da sempre considerate figlie di un dio minore nella costellazione gay, e perché le posizioni della lobby LGBT rischia di cancellare secoli di conquiste femminili.

Le femministe transescludenti

Così i movimenti trans e gay maschili si sono inventati una nuova etichetta. Sono bravissimi in questo.

Le chiamano femministe transescludentile cosiddette Terf – per indicare chi avanza dubbi anche da sinistra sulla legittimità di istanze riassunte in Italia nel DDL Zan.

A criticare il disegno di legge persino Arcilesbica (la principale associazione italiana delle donne lesbiche) che, da qualche anno, ha preso la stessa posizione.

Si sostiene che il Ddl Zan nasce come un’aggiunta legislativa alla legge che già norma e condanna le discriminazioni, ovvero la legge Mancino.

Il mondo femminista però non si sofferma tanto sulle differenze tra le due leggi (che rischiano infatti di essere “doppioni” l’una dell’altra) ma esprimono critiche di sostanza a quanto scritto negli articoli del Ddl Zan.

“Aver esteso il ddl Zan anche ai reati di misogenia e disabilità fa regredire le donne nel passato, le considera una categoria, una minoranza mentre siamo più della metà del paese”, spiega al Corriere Francesa Izzo, storica del pensiero femminista contemporaneo.

 “Anche sull’identità di genere bisognerebbe fare dei cambiamenti”.

L’identità di genere è un oggetto non definito e non puoi mettere in una legge penale un oggetto non definito. Nel testo si parla di identità autopercepita c he è l’ambiguità che apre la porta alla “Self Id”, l’autopercezione del genere. Per capire: in California, dove il self-Id è diventato legge ci sono stati 270 detenuti che si sono dichiarati donne e hanno chiesto di andare nel carcere femminile, con il terrore delle detenute. In Gran Bretagna è successo lo stesso con uno stupratore che si è dichiarato donna.

Contraria allo schema attuale del Ddl Zan la presidente di Arcilesbica Cristina Gramolino che riflette su un altro punto del testo.

“Bisognerebbe emendare il ddl Zan seguendo una legge approvata dall’Emilia Romagna: la regione non finanzia le associazioni che propagandano la Gpa. Con il ddl Zan criticare l’utero in affitto viene considerato omofobia”.

Istanze chiare e lineari, contrapposte a chi, fideisticamente vorrebbe approvare in tutta fretta una norma liberticida e contro la libertà di opinione.

Se persino da sinistra e da ambienti femministi le critiche sono copiose ed articolate, ben si farebbe in Parlamento a prendere una pausa di riflessione su un disegno di legge che scontenta tutti.

 

Leggi anche: https://www.adhocnews.it/si-autodichiarano-donne-per-aggirare-la-parita-di-genere/

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