Un passaggio veloce, 24 anni che hanno lasciato un solco profondo e di valore; Arrigo del Rigo ha attraversato la storia del primo Novecento segnando il panorama artistico del suo tempo con una traccia indelebile.
Ha immortalato tutti gli angoli della sua città ed è stato prodigo di splendidi ritratti nonostante il breve tempo a sua disposizione.
Sempre suggestivo, attraverso scorci, vignette e ritratti, ha parlato costantemente della sua Prato e della sua epoca.
Attuale, precursore e all’avanguardia, frequenta l’Istituto d’ Arte di Porta Romana guidato da Libero Andreotti ed entra a far parte di un gruppo di intellettuali ed artisti della sua città costituitosi intorno al 1925. Tra questi figurano Oscar Gallo, Leonetto Tintori, Quinto Martini, Gino Brogi. Quasi tutti gravitano intorno ad Ardengo Soffici che di del Rigo sarà amico e mentore fin dal 1927. Collabora con Mino Maccari alla rivista “Il Selvaggio” a partire dallo stesso anno. Apprezzato e sostenuto dai grandi maestri toscani dell’ epoca e con un futuro sicuro nell’ Olimpo della pittura italiana, nel marzo del 1932 viene ingiustamente accusato di attività sovversiva e brevemente incarcerato. Questo episodio lo segna indelebilmente; lo rende instabile e preoccupatissimo per il futuro.
Questo il ricordo di Ardengo Soffici, dalle colonne de “Il Frontespizio” del dicembre 1939.
“Il 26 febbraio del 1932 del Rigo morí in un’ aura di tragedia e di mistero. Così modesto e candido com’era, egli non fu forse sorretto nel momento fatale, dalla coscienza del proprio valore. La sua morte prematura privò i parenti di un figlio benamato, gli amici di un compagno indimenticabile, l’ arte italiana di una luminosa speranza. Quello che resta di lui è nondimeno una prova sufficientemente sicura dei suoi grandi doni, e dell’ impronta ch’egli già aveva stampato sul cammino intrapreso prima di caderci come un giovanissimo soldato sul ciglio del fuoco.” Ardengo Soffici
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