Attesa per il Consiglio Direttivo BCE del 14 settembre. Quali novità sui tassi di interesse?
C’è grande attesa per la prossima seduta del Consiglio direttivo della Banca Centrale Europea, che si terrà a Francoforte il 14 settembre.
Cambieranno i tassi di interesse? E di quanto? Se lo chiedono soprattutto i milioni di italiani che hanno un mutuo ipotecario a tasso variabile, legato strettamente alle decisioni che verranno prese dalla BCE.
Ormai da più di un anno chi ha un mutuo vede progressivamente crescere le rate periodiche da pagare. Le sedute BCE del 22 febbraio e del 16 marzo scorso hanno aumentato di 50 punti base i tassi in ciascuno dei consessi; le tre sedute successive (4 maggio, 15 luglio e 27 luglio) hanno visto l’aumento di 25 punti base cadauna. La salita complessiva da inizio anno è stata del 2,25%; sommata all’incremento del 2022, ha determinato una crescita “stellare” di 425 punti base in appena 12 mesi. Chi aveva un tasso all’1% a fine 2021 ha visto in pratica quadruplicare gli interessi passivi, che sommati alla quota capitale hanno determinato forti appesantimenti nei bilanci di famiglie e aziende.
Le domande, quindi, sorgono spontanee. In un periodo di “vacche magre”,in cui i guadagni delle aziende sono piuttosto risicati e gli stipendi sono “al palo” ormai da lungo tempo, fino a quando possono reggere famiglie e imprese? Perché il board di Lagarde ha deciso tale politica monetaria restrittiva? E Infine: per quanto ancora avremo tassi così alti?
Per rispondere a queste domande è necessario spiegare la correlazione tra inflazione e tassi. Nel mondo accademico, stuoli di economisti hanno creato modelli matematici che collegano l’inflazione con le politiche monetarie. L’aumento indiscriminato dei prezzi e dei servizi che deriva dall’inflazione ha come conseguenza la diminuzione della quantità dei beni e servizi che possiamo acquistare. In gergo economico si dice che l’inflazione riduce il valore della moneta nel tempo.
E questo è davvero un male nel medio termine.
L’inflazione è il più importante, ancorché non unico, indicatore per sapere se un’economia è sana oppure no. Potrebbe essere definita la “febbre dell’economia”. In una persona più la febbre è alta, più ci sono problematiche nella sua salute. E’ così anche un’inflazione al 10% è l’indicatore di una situazione grave, che necessita di interventi. Ma attenzione: anche una temperatura sotto i 35 gradi non è positiva per un soggetto. A livello economico la febbre bassa si chiama deflazione, un fenomeno altrettanto (e forse più) rischioso.
Per parlare di un’inflazione “sana” dovremmo attestarci intorno al 2%.
A luglio 2023 l’inflazione è stata del 5,3%, in lieve flessione rispetto al trimestre precedente quando era stato registrato un 5,5%. Ancora troppo alta però, veramente troppo alta. Lagarde, intervenuta a metà agosto ad un simposio economico internazionale in Wyoming (Stati Uniti), è stata lapidaria: ”I tassi rimarranno alti per tutto il tempo necessario per far calare l’inflazione al 2%”. La decisione è stata presa e non si transige. Inascoltati gli appelli riguardo la flessione dell’economia nell’area Euro, così come quelli sulla stagnazione dei prezzi e la recessione dei mercati. A nulla sono valsi di dati degli acquisti delle aziende PMI dell’Euro-zona calati pesantemente a agosto (47%), o le sollecitazioni per evitare il collasso finanziario delle famiglie con mutui.
Si va avanti puntando sui prezzi stabili, pilastro fondamentale della politica monetaria della BCE, adducendo che la stabilità è “l’unico ambiente favorevole agli investimenti”. C’è quindi da aspettarsi il prossimo 14 settembre ancora un revisione al rialzo di 25 punti base. Ma qualche piccolo spiraglio potrebbe arrivare dai dati di fine agosto sulle proiezioni macroeconomiche future.
Una cosa è certa: ad oggi è difficile pensare a una diminuzione dei tassi.
Tutto è legato al momento in cui la situazione si normalizzerà e vi sarà una diminuzione dell’inflazione. Momento assai atteso, che darebbe una boccata di ossigeno alle finanze di molti.
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