Ibrida o benzina? Ricordo bene quel momento. Era il giorno di Pasqua di due anni fa quando pensavamo tutti che saremmo usciti migliori dalla pandemia. Le strade vuote, l’aria pulita, l’erba che cominciava a riprendersi i marciapiedi. Vuoi vedere che questo virus è arrivato per resettare il mondo? Da lì a pensare di voler contribuire a rendere il povero pianeta maltrattato un posto migliore è stato un attimo.
Ho deciso così di concedere il meritato riposo alla mia cara vecchia auto diesel dopo quasi dieci anni di onorata carriera, e dal divano di casa ho iniziato a cercare l’auto giusta. Perché non un’auto elettrica? Meglio ibrida, mi consiglia qualcuno, un po’ elettrica, un po’ a benzina così hai l’opzione B. Quando vedo il prezzo delle auto ibride sbianco. Costano più delle altre. E non poco. Non rientro tra quelli che possono usufruire degli incentivi. Vabbè, mi risponde la mia anima ambientalista, ce la puoi fare lo stesso.
Ibrido plug-in e il girone dantesco
Il giorno del mio compleanno arriva la macchina: una ibrida plug in, con un doppio motore benzina/elettrico. Pensavo che ricaricarla fosse facile come fare rifornimento a un distributore di benzina. Non ci ho messo molto a scoprire che non è così. Perché il proprietario di un’auto elettrica tutte le mattine si sveglia e sa che deve iniziare la sua battaglia per trovare — nell’ordine — una colonnina di ricarica, una colonnina libera dalle altre auto, una colonnina non occupata da furgoni-auto-motorini parcheggiati abusivamente, una colonnina funzionante.
L’auto può anche ricaricarsi da sola, ma se si gira tanto in città, il “pieno” auto-generato non basta e bisogna per forza avere una colonnina a portata di mano. Quando la mia amica Bianca ha saputo della mia scelta mi ha guardato scettica e mi ha detto: «Sei proprio sicura? Sicura, sicura, sicura?». E io orgogliosa: «Certo che sì, dovresti fare pure tu qualcosa di buono per il mondo». Non potevo immaginare in quale caccia al tesoro sarei stata quotidianamente impegnata.
Poca elettricità e molta benzina
Perché in un anno a Firenze ho fatto molti più rifornimenti di benzina che non di energia elettrica. Perché la buona volontà non basta. Vicino casa non ci sono colonne e per una ricarica completa servono almeno tre ore.
Ho cambiato le mie abitudini e i miei orari: faccio la spesa solo dove ci sono i punti di ricarica e per avere la certezza di trovare una postazione libera vado in orari improbabili, o la mattina presto o la sera tardi. Due volte su tre trovo le colonne guaste. All’inizio ho anche provato a fare segnalazioni sulla App di Enel ma non sono mai riuscita ad arrivare in fondo.
Martedì mattina mi sono impuntata e ho girato mezza Firenze, da piazza Alberti a viale Guidoni, dalla Coop di Ponte a Greve a piazza Mentana. Alla fine mi sono arresa e ho fatto l’ennesimo pieno di benzina. In piazza Alberti di fronte alle colonnine erano parcheggiate tre auto e un furgone.
Quando finalmente si è presentato il proprietario di un’Audi bianca e in preda alla rabbia gli ho urlato «complimenti, stavo chiamando i vigili» lui mi ha riso in faccia: «Siiiii i vigili… hai voglia ad aspettarli…». La beffa è stata scoprire che di quelle colonnine non ne funzionava una. Così come non funzionavano tutte le altre che ho passato in rassegna.
Anche oggi farò rifornimento domani, è la stessa storia da un anno a questa parte. Oggi posso tranquillamente dire che il mio innamoramento per l’auto elettrica è già finito. Sto già studiando la prossima auto. Modello, colore, cilindrata. Con una sola certezza: non sarà elettrica.
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fonte: corrierefiorentino.it
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