Avanti Savoia! C’è aria di Vittoria.
Dopo tante sconfitte, finalmente Vittoria. I Savoia, condannati a un inglorioso declino che dura da svariati decenni, hanno finalmente trovato una soluzione per rilanciare la dinastia, mettersi al passo coi tempi e aggirare la legge famigerata, poi revocata, che impediva ai maschi sabaudi di mettere piede sul suolo italiano. L’erede al trono, dopo Emanuele Filiberto, sarà sua figlia Vittoria che debutterà in pubblico il prossimo 14 marzo ad Altacomba. Sedici anni lei, mille anni invece la legge salica di Casa Savoia che afferma la discendenza rigorosamente maschile al trono. Ora finalmente avremo anche noi, come gli inglesi, una Regina Vittoria. Un nome ispirato dal bollettino del 4 Novembre 1918 di Armando Diaz che annunciava la nostra vittoria sugli austriaci. Dio salvi la regina. Qualcuno del ramo Aosta potrebbe impugnare la decisione e pretendere che lo scettro vada a un titolare di sesso maschile, dunque al di fuori del ramo Carignano. Infatti la Consulta del Regno col duca Aimone di Savoia è già insorta e sostiene che a questo punto il diritto di decidere l’erede spetta ad Amedeo del ramo Aosta. Si annuncia una bellissima guerra per la corona (che non c’è), un gioco dinastico virtuale da trasmettere in un serial storicomico su Netflix… Anche se gli italiani, quando non sono anarchici o repubblicani, sono nostalgici a nord degli Asburgo e a sud dei Borbone, più che dei Savoia.
Per carità, i Savoia ebbero anche regine importanti, come per esempio Margherita, che fu poi relegata nella memoria collettiva alla pizza in versione basic e alla cittadina pugliese delle saline che prese il suo nome. Ma i Sovrani erano rigorosamente maschi, e che maschi, se si considera il capostipite dei sovrani d’Italia, Vittorio Emanuele II. Un sovrano noto per la sua esuberanza sessuale e la sua iper-dotazione, da precursore di Rocco Siffredi. Basterebbe leggere le bellissime Note Azzurre di Carlo Dossi per saperne di più sul membro della Corona. Altro che la Bella Rosina, il Re era uno sciupafemmine peggio degli altri padri della patria, noti per la stessa inclinazione (non solo il focoso Garibaldi ma anche il sobrio Cavour e persino il tristanzuolo Mazzini, che pure ebbe fama di menagramo). Quella discendenza fu rivendicata anche da Vittorio Emanuele IV quando fu beccato in un giro erotico non propriamente principesco. Si poteva chiudere un occhio sulla sua incontinenza sessuale, ereditata dagli avi col trono, salvo quell’episodio raccontato sui media di un re che tirava sul prezzo delle prestazioni erotiche (“200 euro, troppi”).
La storia ha dimostrato che ci furono Regine non meno grandi dei Re, quante Isabelle, Caterine, Vittorie, per non dire di quelle ancora vigenti, come l’inossidabile Regina Elisabetta. Però i cambiamenti di leggi millenarie non sono mai un fatto positivo, soprattutto se si tratta di dinastie reali che hanno la loro legittimazione, il loro fascino e la loro ragione sociale nella Tradizione. E un po’ troppo ruffiana la concessione allo spirito del tempo, al femminismo, anche se in questo caso si fa di necessità virtù, mancando eredi maschi.
La monarchia sabauda in Italia fu un regno breve per un paese antico; durò quanto l’arco di vita di un uomo, appena ottantasei anni. Poco per un paese di millenarie tradizioni come il nostro. Vittorio Emanuele III fu il Re più duraturo nella storia d’Italia. Cominciò da ragazzo, quando gli uccisero il padre, Umberto I, a Monza, nel 1900 e rimase re fino a maggio del ’46, quando abdicò in favore di suo figlio Umberto II. Sarà stato un mezzo re quanto a statura, o un re dimezzato quando dovette coabitare con l’ingombrante duce, ma durò mezzo secolo sul trono. E un mezzo secolo in cui l’Italia combatté due guerre mondiali, alcune guerre coloniali, un paio di guerre civili, dal biennio rosso alla guerra civile. Fu un buon soldato, re sciaboletta, una persona triste, un po’ introversa, non maestosa ma sommessa. Commise errori, ebbe cedimenti.
Nei secoli i Savoia si sono attenuti a una sconfortante teoria involuzionista, ossia il figlio è sempre peggio del padre o se preferite una formulazione più indulgente, il padre è sempre meglio del figlio. Carlo Alberto era meglio di Vittorio Emanuele II che era meglio di suo figlio Umberto I che era meglio di Vittorio Emanuele III che era meglio di suo figlio Umberto II che era meglio di suo figlio Vittorio Emanuele IV… Che temo sia meglio di Emanuele Filiberto, la cui popolarità fu affidata ai varietà ballerini e calcistici, ai reality e alla pubblicità dei sottaceti (“Se vuoi sentirti un re, c’è Saclà”, terribile slogan, come se il San Pietro dello spot sul caffè fosse interpretato dal Papa emerito). Meglio cambiare a questo punto, ramo o sesso.
Per anni sostenni a spada tratta il loro rientro in Italia, poi quando finalmente i Savoia poterono rientrare, restarono a Ginevra. Avanti Savoia; ma non entrò nessuno. A quel punto sarebbe stato meglio invertire la tredicesima disposizione transitoria della Costituzione e impedire ai Savoia di espatriare, per non farci fare brutta figura all’estero e lavarci i panni reali in casa.
Ho sempre avuto una speciale simpatia per i monarchi e per i monarchici, teneri e disarmati, minoranza innocua, leale e cortese. Al referendum avrei votato monarchia, rispetto il ruolo dei Savoia nella storia d’Italia e reputo preferibile avere un Re a rappresentare simbolicamente lo Stato, la Nazione e la Tradizione di un popolo piuttosto che un presidente. Però ogni volta che vedo i Savoia, li ascolto e sento notizie di loro, mi scopro anch’io per metà repubblicano e anarchico e per metà asburgico e borbonico. A questo punto meglio interrompere il darwinismo dinastico a rovescio, e puntare sulle quote rosa. Dov’è la Vittoria, le porga la chioma…
MV, Panorama