Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero… La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde – gettata da un estremo all’’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore (cf Ef 4, 14). Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie.
Una vera e propria dichiarazione di guerra al mondo moderno e alle sue logiche. Quell’omelia al collegio cardinalizio De eligendo pontifice del 18 aprile 2005 era già un vero e proprio programma di governo, che sembrò concretizzarsi il giorno successivo, quando il cardinale Joseph Aloisius Ratzinger fu eletto al soglio pontificio, assumendo il nome di Benedetto XVI.
Non ci sono dubbi che Benedetto sia stato un segno di contraddizione. Pochi papi sono stati detestati e osteggiati dai media quanto lui; anche in campo cattolico Benedetto è stato ferocemente avversato, non solo da chi vedeva la sua elezione come una pietra d’inciampo nelle magnifiche sorti e progressive che sarebbero state tracciate dal Concilio Vaticano II, ma anche da parte del mondo cattolico tradizionalista, che vedeva e vede in lui niente di più che una tappa di quel processo di dissoluzione della Chiesa iniziato con la nefasta opera conciliare.
Sicuramente, la sua scomparsa dovrebbe essere il momento del silenzio e del rispetto, ma è inutile farsi illusioni che una cosa del genere possa accadere, specialmente nell’era dei social media in cui ed un d’Aquin diventa ogni villan che teologizzando viene ( per parafrasare il Sommo Poeta), compresi i cattolici o sedicenti tali. Allora tanto vale azzardare non un giudizio, che chi scrive non si sentirebbe assolutamente titolato ad esprimere – sono già sin troppi ad avere il cellulare del Padreterno – ma qualche modesta e del tutto personale riflessione.
Senza dubbio, ci sono due modi opposti di prendere in considerazione la storia recente della Chiesa: c’è chi vede nel Concilio Vaticano II una svolta decisiva in positivo e c’è chi invece è di avviso esattamente opposto. Se si deve dar retta alla massima evangelica secondo la quale l’albero si vede dai frutti, qualche dubbio dovrebbe sorgere persino nei più devoti ed ossequienti zelatori di quella storica assise; del resto persino Paolo VI, che è forse il maggiore responsabile delle conseguenze di quell’evento, ebbe a chiedersi in un discorso giustamente famoso del 1972 se “da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio”. Più che fessure, sarebbe forse corretto parlare di crepe …
In realtà, il discorso è uno e uno solo: quello che doveva essere semplicemente un concilio pastorale ha finito poi col diventare il piede di porco (si chiede venia per l’immagine non precisamente serafica) con cui scardinare non solo alcuni dogmi, ma anche alcuni fondamenti del Cattolicesimo: il carattere sacrale della liturgia, ad esempio, trasformando la Santa Messa da rito a carnevalata più o meno pittoresca a seconda della dignità dell’officiante di turno: e questo a prescindere dalla questione, pur non irrilevante, dell’uso o meno della lingua latina. Oltre a questo, l’inseguimento delle logiche del mondo, la perdita della propria identità di cui quasi sembra ci si debba vergognare – si prendano come esempio le “richieste di scuse” di Giovanni Paolo II, spesso formulate in modo approssimativo e poco rispettoso dei contesti storici. Non che la Chiesa, in quanto istituzione anche umana – per chi crede, beninteso – non abbia mai commesso errori; ma a partire dagli anni ottanta del secolo scorso, si è messo in moto un vero e proprio meccanismo di autodemolizione che ha raggiunto il proprio vertice nell’attuale pontificato.
Ci rendiamo conto che le questioni sopra accennate meriterebbero ben altro approfondimento ma d’altra parte era necessario almeno sfiorarle per contestualizzare la nostra riflessione. La domanda basilare infatti è: quale è stato il ruolo di Benedetto XVI in tutto ciò?
Diciamo subito che con tutta la simpatia umana che si può nutrire per la figura di Ratzinger, è impossibile assolverlo dalle sue responsabilità in questo vero e proprio climax discendente che è stata la storia della Chiesa di questi ultimi decenni. È stato cioè un papa conciliare che ha visto nel concilio un punto di svolta fondamentale in positivo, non sapendo o non volendo prevedere tutte le conseguenze nefaste che ne sarebbero conseguite. Da questo punto di vista, i tradizionalisti più rigorosi e coerenti gli rimproverano soprattutto un ecumenismo che lo ha portato a sposare la nefasta “logica di Assisi”, che sembra sostanzialmente mettere sullo stesso piano tutte le religioni (che è cosa ben diversa dal rispetto di chi ha un altro credo) e addirittura a dare il suo appoggio a un unico governo mondiale ; ma il discorso in realtà è molto più complesso e andrebbe visto nel suo contesto: Benedetto non parlava di “governo” ma di autorità politica mondiale che tenesse a freno lo strapotere dell’economia. Sicuramente è un terreno molto “minato”, ma è comunque un po’ diverso da quel che gli si attribuisce.
C’è però anche un altro aspetto che dovrebbe forse essere preso maggiormente in considerazione: Benedetto è stato il pontefice che ha saputo vedere anche i limiti del concilio. Se è vero che non lo ha mai duramente criticato, leggendolo secondo l’ottica discutibile della “ermeneutica della continuità” (cercando cioè di inserirlo all’interno della tradizione della Chiesa) è altrettanto vero che ne ha mostrato con molta acutezza le derive: la perdita di senso del sacro, il relativismo religioso e culturale, la trasformazione del clero in “assistenti sociali”. E basterebbe vedere l’enorme differenza che c’è tra lui e il suo successore nella questione della difesa dei “principi non negoziabili”: la sacralità della vita, l’importanza primaria della famiglia etc, oltre alla sua ferma lotta contro il fenomeno della pedofilia all’interno della Chiesa. E che dire poi del motu proprio Sommorum Pontificum, da Francesco di recente drasticamente e assurdamente ridimensionato, con cui si garantiva piena libertà di culto ai seguaci della messa tradizionale, di quella messa di sempre in Rito Romano Antico che il concilio peraltro non aveva mai “abolito”, ma che era stata considerata da Polo VI in poi quasi un… delitto di lesa maestà? Non è peraltro vero, come tanti media hanno mendacemente sostenuto, che Benedetto volesse “imporre di nuovo il latino”; egli non ha mai messo in discussione i riti conciliari o postconciliari (salvo giustamente richiamare a una maggiore sobrietà, soprattutto nella parte musicale che spesso riduce il rito a una … disco – messa), ma ha voluto semplicemente garantire a chi volesse continuare a seguire il rito tradizionale la possibilità di farlo. Anche perché non si tratta affatto di una “riserva indiana”: il Rito Romano Antico ha una diffusione maggiore soprattutto proprio tra i giovani, e probabilmente è questo che spiace alle attuali gerarchie. Del resto, l’affetto e la partecipazione alle sue esequie hanno smentito una buona volta anche la storiella fasulla della sua “impopolarità”, dato ma non concesso poi che un pontefice debba preoccuparsi di essere “popolare” come una popstar qualsiasi.
Si dovrebbe dunque essere grati a Benedetto per il molto che ha fatto da pontefice, senza per questo chiudere gli occhi sul resto, ma anche senza assolutizzarlo. Romane certo il mistero di quel “gran rifiuto”, la sua abdicazione, che tanto sconcerto ha causato nel mondo cattolico e che ha consentito poi l’elezione di un successore decisamente assai più discutibile; ma finché non se ne conosceranno le vere motivazioni, è difficile pronunciarsi in merito.
Che Dio lo abbia in gloria, dunque, e protegga la Cristianità in questi tempi cupi.