Ottant’anni fa, il 2 febbraio 1941, moriva in guerra Berto Ricci. Aveva 36 anni.
Berto Ricci fu scrittore e fascista, seppure eretico. Tanti anni fa ripubblicai il suo principale libro, Lo scrittore italiano. Lo pubblicai con una sigla editoriale di destra; ma in quell’occasione, stranamente, il silenzio stampa s’interruppe e fioccarono belle recensioni ammirate da tutte le parti, da Repubblica al Corriere della sera. Per l’occasione riuscì a strappare l’introduzione a Indro Montanelli che fu suo grande amico e che lo definì “il solo maestro di carattere che abbia avuto”.
Perché Berto Ricci fu un italiano con la schiena diritta, uno che fu anarchico quand’era difficile esserlo e poi fascista, ma anche in pieno regime non ebbe vantaggi e benché ammirato da Mussolini in persona, che gli aprì le colonne del Popolo d’Italia, si vide ostacolato nei suoi difficili esercizi di passione ed eresia, ebbe problemi per la sua ostilità al carrierismo di alcuni gerarchi, all’imbecillità militante di altri, all’ipocrisia borghese, all’alleanza con la Germania e all’importazione del razzismo.
La sua rivista, L’Universale, fu una delle migliori uscite nel ventennio, scritta da ragazzi (più qualche gloria matura come Ottone Rosai), da cui uscirono fior di fascisti, di antifascisti e di afascisti. Ne cito solo tre, uno per categoria: Diano Brocchi che restò fascista, Romano Bilenchi che diventò antifascista e Indro Montanelli che per decenni ondeggiò tra ricordi fascisti e rivendicazioni di antifascismo.
Si ritrovarono in quelle pagine le migliori intelligenze della gioventù del tempo, sospese tra fascismo ed eresia, come Dino Garrone, per esempio. Berto Ricci ebbe seri problemi con la sua rivista e fu un sollievo quando fu chiusa per ragioni ancora controverse. Lui smise di scrivere e partì volontario in guerra. E da volontario morì in Africa, eroe di un’Italia che non lo aveva riconosciuto e di un fascismo verso cui mostrava ardore e insofferenza.
Berto Ricci morì alla stessa età di Che Guevara ed io a volte ho detto ai ragazzi che s’infervorano per il Che: guardate che di miti romantici come lui ne abbiamo altri in casa nostra, da altri versanti. Per esempio Giaime Pintor, tra gli antifascisti. Per esempio Berto Ricci, tra i fascisti inquieti e ardenti. Ecco due belle facce da poster e da magliette, come Salvo d’Acquisto e Italo Balbo, per restare in Italia, in epoca e in tema.
Berto Ricci fu un italiano fiero che seppe unire la passione ideale al disincanto, la fede alla critica. Amava questa porca Italia e nondimeno la considerava porca. Intelligenza affilata e mai posata, rifiutò di entrare nel dissenso, come gli suggerì Montanelli che aveva sicuramente più fiuto di lui quanto al clima che cambiava. Preferì costeggiare l’eresia, abitare in quella fascia scomoda e isolata dove non si è fascisti organici e nemmeno antifascisti, ma si è fedeli a un’idea e ribelli a un potere.
Vorrei dedicare questo ricordo oltre che a lui, ai tanti italiani di carattere che abbiamo dimenticato. E tornare a chiedermi: ma possibile che quella pianta d’italiani sia sparita o sia disseccata? Dove si nasconde e dove s’imbosca? Non mi interessa da che parte sta, mi interessa se c’è e come ci sta. Lo dico col disgusto sulla faccia per lo spettacolo osceno della vita pubblica italiana, le carogne di Palazzo, i gerarchi del potere odierno, politico e culturale.
Nostalgia di Berto Ricci, del suo italiano asciutto e vivo, della sua scrittura tesa e mai superflua, acuta nel cogliere le cose e mai condiscendente. Un italiano di carattere tra tanti caratteristi.
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