Bonaccini vs Nardella? In questo momento storico le possibilità del sindaco di Firenze di scalare la segreteria del Partito Democratico, dovrebbero essere estremamente limitate. Sempre che sciolga la riserva in maniera definitiva.
Non siamo in America
In America ci sono delle primarie, in cui il candidato più telegenico, riesce spesso a prevalere rispetto ad amministratori più capaci. Sicuramente Dario Nardella in televisione si presenta bene. È un uomo mediatico, simpatico, dalla battuta pronta, brillante e rassicurante.
Tutte doti però che nella politica italiana, sono utili. Ma non possono fare la differenza se dietro di esse non c’è un apparato forte e qualche risultato importante da sbandierare.
Sicuramente l’apparato del Partito Democratico, almeno quello di tradizione storica comunista, va verso Bonaccini. Di certo l’apparato storico, non può avere simpatia per il primo cittadino di Firenze. Un’identità troppo indefinita, per caratterizzarlo come un compagno.
Come amministratore
Se la figura mediatica del Nardella politico può avere dei punti di forza, certamente quella del Nardella amministratore è più debole. I risultati a Firenze come sindaco, e l’apprezzamento da parte dei cittadini non possono essere certo il suo punto di forza.
L’amministrazione della città di Firenze dimostra tutte le pecche di un indecisionismo marcato e di una visione buonista, quasi fatalista dei problemi sociali. Firenze è costantemente alla ribalta per problemi di degrado ed insicurezza. L’abusivismo non è mai stato realmente arginato. Tutti temi su cui l’opposizione ha sempre battuto. Ma rappresentano solo una parte dei fallimenti.
La questione aeroportuale fiorentina ha dimostrato la difficoltà eterna di coordinamento anche con i sindaci del hinterland. Ribadendo l’impossibilità di una soluzione a breve termine, di un problema che ormai va avanti da decenni. Non è stato peggiore dei suoi predecessori, ma erede di quell’immobilismo sulle grandi opere che caratterizza l’area centrale della Toscana.
Se poi andiamo a guardare il teatrino che si scatenò sulla questione dello stadio, con un imbarazzante tira e molla sull’area di ubicazione. Lì fu l’apoteosi dell’improvvisazione, a discapito della concretezza.
Quella Toscana eterna
Il Partito Democratico in Toscana ha già avuto due segretari . Uno è Matteo Renzi, e l’altro è Enrico Letta. Sicuramente non provano sentimenti d’affetto reciproci, ed ancor meno comune linea politica. Però sono considerati due segretari difficili da digerire per la base. Impossibili da dimenticare.A Matteo Renzi, che in verità non è stato mai amato da tutta la sinistra del partito, la stragrande maggioranza della militanza imputa di non essere mai stato un uomo di sinistra e gli attribuisce colpe, reali o meno reali, in merito alla decadenza attuale della sinistra. Enrico Letta, invece è sembrato essere quasi più un curatore fallimentare che non un segretario. Viene associato ad una gestione totalmente al ribasso. E probabilmente questo può portare gran parte degli iscritti nelle altre zone d’Italia, a sfiduciare verso un terzo segretario proveniente dal PD toscano.
Poi nel PD tutto è possibile
Al di là del fatto che teoricamente Bonaccini prometterebbe meglio.Sia per i risultati amministrativi che per le garanzie politiche che porterebbe la sua figura, poi esiste pur sempre il PD. Non tanto quanto partito ideologico, perché l’ideologia del PD è sempre più indefinita, quanto piuttosto il PD apparato. Apparato di potere che vive ostaggio di compromessi, mediazioni e complicatissimi equilibri, creati dalla dirigenza di quello stesso apparato per mantenere a tutti i costi di posizioni di potere. Tutto quello che impedisce a quel partito di rinnovarsi, di rilanciarsi, può essere quello che consente ad amministratori con risultati non brillanti ed ideologicamente poco definiti di prendere la segreteria.
Considerazioni legate a mantenere una stabilità tra le varie componenti, anche a discapito del consenso esterno. Tutte cose che fanno molto male, a chi spera di rifondarsi. Ma spesso un apparato di potere, ha bisogno di mettere al timone un amministratore che nella sua azione si è dimostrato paralizzato dal mantenimento degli equilibri. Perché gli amministratori poco concreti, e gli apparati ingessati sono molto simili tra loro. Come dei cani che si mordono la coda.
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