CAMBIARE IDEA È LEGITTIMO MA IN POLITICA NON VIENE MAI RICONOSCIUTO
D’Alema, la NATO e le contraddizioni della sinistra italiana: un’eredità sempre più scomoda
Massimo D’Alema è una delle figure più emblematiche – e controverse – della sinistra italiana. Uomo di cultura, abilità politica e potere, è spesso stato definito il “Richelieu” della politica nazionale per il suo acume tattico e la sua capacità di influenzare gli equilibri interni anche quando non direttamente al comando.
Eppure, il suo nome continua a evocare dibattito, soprattutto quando emergono le contraddizioni tra il suo passato ideologico e le scelte di governo
La più eclatante resta senza dubbio quella legata all’intervento NATO in Kosovo nel 1999.
La svolta atlantista del governo D’Alema
Quando scoppiò la crisi in Kosovo, D’Alema – allora Presidente del Consiglio – diede pieno sostegno alla missione “Allied Force” della NATO contro la Serbia di Slobodan Milošević. L’Italia mise a disposizione le sue basi militari e partecipò attivamente al coordinamento dell’operazione, che mirava a fermare le violenze e le deportazioni di massa perpetrate contro la popolazione albanese del Kosovo.
Fu una decisione difficile, giustificata come necessaria per prevenire un nuovo genocidio nei Balcani e impedire che l’Europa tornasse a essere teatro di pulizie etniche. D’Alema presentò l’intervento come una scelta umanitaria, necessaria, pur in assenza di un mandato diretto dell’ONU.
Eppure, non mancò chi gli ricordò le sue dichiarazioni giovanili, in cui definiva la NATO “strumento dell’imperialismo” e criticava l’alleanza atlantica come un ostacolo alla pace. Da oppositore radicale della NATO a fautore convinto della sua utilità come strumento di pace: per molti fu una svolta di pragmatismo; per altri, un’ipocrisia travestita da realismo.
Oggi: da difensore dei diritti a critico dell’Occidente
Negli ultimi anni, D’Alema è tornato a far parlare di sé per le sue prese di posizione sulla guerra in Ucraina, in cui si è dimostrato più indulgente verso la Russia di Putin e più critico verso l’Occidente e la NATO. Una linea che stride con il suo passato da capo di governo che usò proprio quella stessa NATO per intervenire nei Balcani. Le sue dichiarazioni recenti hanno alimentato polemiche, rafforzando l’accusa – spesso rivolta alla sinistra italiana – di doppiezza morale e incoerenza ideologica.
25 aprile 2025: l’ipocrisia che si ripete
A testimonianza delle tensioni che attraversano la sinistra, basti guardare alle celebrazioni del 25 aprile 2025. A Milano, l’ANPI ha permesso a manifestanti pro-Palestina di aprire il corteo della Liberazione, generando forti tensioni con la Brigata Ebraica, che invece ha dovuto sfilare protetta dalla polizia a causa di cori ostili e fischi.
A Roma, gli scontri verbali tra gruppi pro-Palestina e membri della comunità ebraica hanno richiesto l’intervento delle forze dell’ordine
È parso a molti un paradosso doloroso: l’esclusione di chi combatté davvero per la Resistenza – la Brigata Ebraica – in favore di chi oggi strumentalizza la memoria antifascista per rivendicazioni estranee al contesto storico del 25 aprile. Una deriva che mina l’unità della celebrazione e apre interrogativi sulla legittimità della sua attuale gestione.
Una riflessione finale
“Il potere logora chi non ce l’ha – ma anche chi non vuole rinunciarvi”, disse una volta Giulio Andreotti. Forse questa massima vale anche per D’Alema e per una certa sinistra italiana che, pur cambiando pelle, non riesce mai davvero a conciliare ideali e azione. Dalla NATO al Donbass, da Belgrado a Gaza, i paradossi si moltiplicano, e la credibilità si consuma.
Forse sarebbe giunto il momento, almeno per il 25 aprile, di tornare a una memoria più sobria e rispettosa
Solo con le bandiere e le voci di chi davvero partecipò alla Resistenza italiana. Senza strumentalizzazioni. Senza ipocrisie. E senza comode amnesie.
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