Carestie e genocidi che non fanno audience: cosa sta succedendo in Sudan?
Nel mare magnum delle notizie, ormai praticamente solo concentrate sulla sorte della popolazione palestinese, non sembra trovare sufficiente risonanza mediatica la catastrofica crisi umanitaria in atto in Sudan e, in particolare, nella regione del Darfur. Una crisi umanitaria che, secondo le proiezioni del Comitato di revisione della carestia dell’ONU (FRC) di alcune settimane fa, avrebbe potuto sfociare in carestia.
Ed è successo. L’IPC, l’Integrated Food Security Phase Classification ha alzato a 5 il livello di rischio, dichiarando di fatto che in Sudan c’è la carestia. È successo solo tre volte negli ultimi vent’anni e in due di queste occasioni proprio il Sudan ne è stato protagonista. L’ultima volta è stato nel 2017 – anno in cui è stato dichiarato, tra l’altro, l’ultimo livello 5 di carestia nel mondo.
Carestia cui si accompagnano numerose altre tragedie. Secondo l’UNICEF, quasi 800 mila bambini stanno attraversando una fase acuta di fame, bambini che frattanto vengono anche inquadrati nelle milizie e subiscono violenze sessuali e mutilazioni. Già nel 2023 l’UNICEF avevano dichiarato che il conflitto nel Darfur aveva registrato migliaia di gravi violazioni dei diritti dell’infanzia, con un aumento del 450% rispetto all’anno precedente. Cifre che fanno accapponare la pelle.
Purtroppo, come altri conflitti che attualmente stanno interessando molte zone del pianeta, anche quello nel Darfur, con un’instabilità che si trascina dal 2003, si addensa su una serie di rivalità tribali, di carattere economico e geopolitico ma anche di controllo delle risorse petrolifere. Sul fattore economico, dal 2005 si è innestata anche una criticità di tipo religioso, che ha contrapposto i pastori musulmani nomadi e le popolazioni stanziali nere di altra religione, queste ultime marginalizzate dal governo di confessione islamica.
Dall’epoca, milioni di sfollati e centinaia di migliaia di morti su un totale di sei milioni di abitanti, un vero genocidio, tanto che già nel 2007 l’ONU aveva incaricato il Consiglio dei diritti umani di avviare delle indagini in merito, che portarono a conclusioni sconcertanti: gravissime violazioni dei diritti umani, coinvolgimento dello stato stesso in tali crimini, senza contare le azioni volte a impedire all’ONU di mettere il naso nella questione del Darfur.
Oggi come allora, rivela l’UNICEF, solo con grande difficoltà è possibile fornire gli aiuti necessari, anche a causa degli attacchi sferrati dalle milizie contro le missioni umanitarie. E quando questi aiuti arrivano, non se ne può garantire comunque un afflusso costante.
Il che è anche comprensibile: proprio due giorni fa, a Ferragosto, l’ennesimo attacco a un villaggio ha causato circa 80 morti. Uno stillicidio continuo di vite umane che, purtroppo, non sembra avere lo stesso impatto mediatico di altri conflitti in giro per il globo, su cui sono puntati gli occhi di tutta l’opinione pubblica.
Non una manifestazione, dunque, non una voce indignata si leva dalle spiagge affollate di questa calda estate, non un crollo emotivo sui social, non un acceso dibattito in TV con gli opinionisti più in vista del momento. E nemmeno un banchetto con gazebo per una raccolta firme, su cui far sventolare una bandiera del Sudan – che, tra l’altro, essendo quasi uguale a quella palestinese, come forma e come combinazione dei colori verde, rosso bianco e nero, potrebbe attirare l’attenzione dei più distratti, tanto da giovare a entrambe le cause…
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