Questa volta non sono d’accordo con Marcello Veneziani. A me in un certo senso l’avvocato manca. Non soltanto perché l’apice della sua grandezza corrisponde ai miei vent’anni. Ma anche perché in un certo senso rappresenta il meglio dell’Italia.
Capisco quello che vuol dire Veneziani quando afferma di Agnelli che era una :”Testuggine antica, dell’era rettiliana. Che guardava con sprezzo elegante l’umanità, di cui avvertiva la profonda estraneità e l’irrimediabile subalternità.” Sì probabilmente questo appariva. Ma bisogna considerare che Gianni Agnelli era un uomo profondamente elegante, profondamente colto, che non solo per mezzi economici ma anche per capacità ed intelletto si trovava a ricoprire una condizione al di sopra della media comune.
Era un genio di raffinata eleganza, che guardava sempre probabilmente con distacco intellettuale la comunità, ma anche con l’affetto di chi comunque se ne sentiva membro e ne sentiva la responsabilità. Agnelli verso l’Italia si sentiva sempre in obbligo. Ccome si sentiva sempre in obbligo verso gli italiani.
Certo abbiamo promosso la Fiat come stato, però la Fiat è stata comunque una componente essenziale del nostro boom economico. Lo dimostra il vecchio, caparbio, a volte testardo e irascibile Enzo Ferrari quando si accorda con Agnelli per far sì che un delle più grandi glorie della produzione d’Italia e simbolo dell’eccellenza del genio italiano contemporaneo, resti in mano ad un’azienda italiana.
Per metà americano. Ma completamente italiano
L’avvocato, come ricorda Henry Kissinger, si sentiva sicuramente parzialmente americano, essendolo sua madre per metà. Ma era moralmente ed umanamente troppo legato all’Italia, per non farla prevalere in ogni sua scelta. Era sicuramente uomo di mondo, uno degli esponenti di spicco del jet-set internazionale.
Però il suo paese veniva prima di tutto.
Nonostante fosse l’erede designato del più grande gruppo industriale italiano, dopo la prematura e tragica scomparsa del padre, non fece nulla per evitare di servire il suo paese andando a combattere addirittura in Russia e poi in Africa, ricevendo una decorazione sul campo.
Tornato in Italia poco dopo la fine della guerra, perse anche sua madre in un incidente stradale. Pochi mesi dopo muore anche il nonno: mentore e patriarca dell’azienda. A ventiquattro anni si ritrovava non solo orfano di ambedue i genitori, ma a capo della dinastia industriale più potente del paese.
Sindaco di Villar Perosa
Non era ancora pronto per guidare da solo l’azienda di famiglia, ma già il suo impegno civico verso il paese iniziò divenendo sindaco di Villar Perosa, carica che mantenne per trentacinque anni.
Molto responsabile nell’affidare a Vittorio Valletta, dirigente con lunga esperienza il destino della Fiat, mentre lui imparava affondo il mestiere.
Certo furono anche gli anni in cui divenne uno degli uomini più brillanti, ed uno degli scapoli più ambiti del mondo.Ma questo aggiunge alla sua figura quel grande fascino magnetico tipico dell’uomo Agnelli oltre che dell’Avvocato inteso come personaggio di potere.
Era un italiano di successo, che aveva importanti e chiacchierate relazioni con dive internazionali come Anita Ekberg, Jacqueline Bouvier Kennedy, Pamela Digby, che era stata sposata a Sir Randolph Churchill.
Era un italiano di successo. Anzi era l’italiano col più grande successo internazionale che rappresentava sicuramente la speranza e le ambizioni di una nazione che aveva perso la guerra.
La visita negli USA
Agnelli prima della guerra era stato a visitare gli Stati Uniti, e se ne era innamorato sposandone la modernità. Che voleva importare nella sua Italia per renderla una grande potenza industriale.
Caro Veneziani la grandezza di Gianni Agnelli, ed il patrimonio che ha lasciato agli italiani è proprio nel concetto che esprimeva. Secondo il quale la grandezza della Fiat doveva per forza andare di pari passo alla grandezza del suo paese. Lui avrebbe potuto vivere dovunque, sarebbe stato un divo ovunque. Eppure non se la sentiva di abbandonare l’Italia.
Sicuramente lui e la sua elegante ed aristocratica consorte Marella Caracciolo di Castagneto, hanno in un certo senso rappresentato la vera famiglia reale italiana in epoca repubblicana. Ma questa che colpa sarebbe Non si poteva criticare il potere degli Agnelli in Italia?
Credo che l’Avvocato fosse un uomo molto più tollerante di tanti altri centri di potere che sono sempre stati molto più invasivi. E che sicuramente hanno dato meno al paese di quanto abbia dato lui.
Sì perché è stato un protagonista del boom economico, ha reso l’automobile accessibile all’uomo medio. Ha lanciato aziende di successo come la Piaggio. E sicuramente è stato un dirigente sportivo di primo piano, pur essendo io uno dei più critici verso la Juventus.
Fece di tutto perché l’Italia rimanesse nel Patto Atlantico
Poi è vero che lui sponsorizzò per tanti aspetti il compromesso storico, ma va anche contestualizzato nel periodo.
Perché ci Agnelli fece assolutamente di tutto affinché l’Italia rimanesse allineata alle scelte atlantiche ed affinché anche i sindacati ed il partito comunista stesso non potessero portare il paese verso una deriva filosovietica.
Agnelli fu uno dei più forti garanti della democrazia in questo paese. Spesso strigliava la politica come quando invitava Prodi non farsi imbrigliare da Bertinotti ed a pensare seriamente al ruolo dell’Italia in Europa.
Ed ad un certo punto caro Veneziani ti sfugge un dettaglio ossia il fatto che è stato Agnelli a cambiare la cultura di sinistra in maniera tale da renderla, inoffensiva per le scelte internazionali e per la democrazia liberale.
Certo promosse le carriere di molti intellettuali che vedevano nell’antifascismo la panacea di tutti i mali, però seppellì l’anticapitalismo e la lotta di classe. Condizione essenziale per democratizzare il sistema.
È vero come dici Veneziani. Forse vedeva storicamente “un’Italia il cui peccato originale era la mancata Riforma e l’avvenuta Controriforma: da lì sarebbe derivato ogni ritardo storico e ogni male, fino al fascismo.” Ma questo credo che fosse in buona parte legato al dinamismo imprenditoriale che lo animava e che lo ispira va nella società americana.
Non credo lui personalmente sognasse un’Italia snaturata e lontana dalle proprie radici.
Ma semplicemente un Italia meno statica, meno arroccata su vecchie caste e più innovativa.
Alla domanda di un giornalista rispose: “ci sono due tipi di uomini, gli uomini che parlano di donne e gli uomini che parlano con le donne. Io di donne preferisco non parlare”.
Un uomo che manifesta una tale eleganza non può che attrarre verso di sé il massimo rispetto, caro Veneziani.
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