Stavolta il responso delle urne è stato impietoso con il Centrodestra. Che ha perso, e in malo modo. Molto peggio di quanto i più pessimisti tra noi temevano. Per cui è francamente ridicolo cercare giustificazioni nella scarsa unità della coalizione o nel fatto che i candidati sindaci sono stati trovati o presentati con ritardo. A meno di non voler scambiare le conseguenze per le cause, com’è nell’abitudine dei cattivi perdenti.
No, questa è una sconfitta -peraltro da tanti annunciata- che viene da lontano. Da tutta una serie di errori e di problemi irrisolti, e che richiede una approfondita riflessione politica. Anche perché il dato prettamente politico, emergente dal voto, è che il Centrodestra a guida leghista ha fallito. Da qui, da questo fallimento che chiama in causa i partiti della coalizione, bisogna allora partire per una autocritica seria e responsabile.
Tralascio le considerazioni su Forza Italia che, sia pur con orgoglio (e rivendicando la conquista della Regione Calabria), vive un inesorabile declino nel triste autunno del Patriarca. Così come tralascio, per il momento, ogni considerazione su Fratelli d’Italia. Che ha comunque il grande merito di aver realizzato un imponente avanzamento elettorale, tanto da eguagliare e in alcuni casi superare la Lega.
La caduta della Lega
Ritengo invece che occorra soffermarsi proprio sulla Lega, visto che, come partito, ha registrato un fortissimo calo elettorale e che, come guida della coalizione, porta le maggiori responsabilità della “débâcle”. Non si tratta di intentare un tardivo processo politico al suo leader, da più parti accusato di aver ridotto la politica a mera pratica comunicativa quando non addirittura ad un rosario di litanie sloganistiche. No, sarebbe ingiusto oltre che inutile.
Si tratta piuttosto di capire se, dove e come, la Lega possa ancora trasformarsi in un grande ed inclusivo partito moderno, occupando anche l’area moderata (sul modello della fu Forza Italia). Oppure se essa sia invece condannata, dalla sua irrisolta natura contraddittoria, a ridursi ad una espressione territoriale del partito del Grande Nord. O, peggio, ad una sorta di setta tribale chiusa nel culto di talune sue discutibili tradizioni. In questo ultimo caso basta che continui a comportarsi come ora.
Altrimenti deve assolutamente cambiare registro. E cioè: definire con attenzione la propria collocazione internazionale, decidendo anche a quale famiglia politica appartenere in Europa. Assumere chiaramente, e con senso di responsabilità, la vocazione di forza di governo all’interno del sistema politico-istituzionale. Proporsi quale alternativa di buongoverno al Centrosinistra, secondo la logica dell’alternanza propria della democrazia e con una credibilità fondata su persone competenti e validi contenuti programmatici. E aprirsi veramente all’apporto dei ceti medi riflessivi e di energie nuove provenienti dalla società civile e dal mondo delle professioni, modificando organizzazione e regole interne in modo da rappresentare armoniosamente il più ampio spettro possibile di interessi e di sensibilità diverse (com’è consuetudine dei grandi partiti delle democrazie a schema bipolare).
Cosa fare per rilanciarsi
Ma, detto ciò, due cose soprattutto la Lega deve assolutamente fare per rilanciarsi: tornare a discutere finalmente di politica attraverso un intenso dibattito interno, per costruire in tal modo un progetto che abbia spessore culturale e respiro ideale. E mettere mano ad una diversa selezione del suo personale politico e dei suoi gruppi dirigenti, oltre che dei suoi candidati. Perché ad oggi l’impressione, largamente diffusa, è che nella Lega vi sia una selezione all’incontrario: nel senso che ai migliori vengono sistematicamente preferiti i peggiori. Il che allontana la gente e deprime l’immagine oltre che la capacità di azione del partito.
D’altronde le suddette due cose si tengono tra loro. Perché una selezione che premia qualità e competenza esige una politica di qualità fatta da competenti. Ma in politica più qualità significa: cultura, analisi sociologica, comprensione della realtà, razionalizzazione del presente e progettazione del futuro. Tutte cose che possiamo tradurre con meno selfie e più libri, meno gazebo e più attenzione agli attori e alle dinamiche del territorio.
Insomma, in ultima analisi, a frenare il Centrodestra e a pesare come un macigno sulle sorti della Lega è da un lato l’assenza di una vera politica alimentata da riflessioni e confronti, e, dall’altro lato, la mancanza di una vera classe dirigente selezionata secondo criteri di merito e di competenza. Basti pensare alla Toscana e a Firenze in particolare. Dove scarsa qualità del personale politico ed incapacità di fare politica impediscono alla Lega di svolgere seriamente persino il ruolo di opposizione. Condannando se stessa ad una penosa insignificanza politica. Il che è mortificante per i suoi elettori e per i suoi militanti che, con tanta passione e generosità, cercano di tenere alte le bandiere della Lega e del Centrodestra.
Ragion per cui -come diceva Bartali, che amava pedalare in salita- «gli è tutto da rifare!».
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