Certezza della pena: il mancato garantismo

Certezza della pena: il mancato garantismo

Sono stati frequenti, negli ultimi anni, suicidi avvenuti all’interno delle mura carcerarie. Viviamo in un paese dove si è garantisti – forse – fino all’emanazione della sentenza passata in giudicato. All’opposto, vi è, invece, una evidente caduta di garantismo nella fase dell’esecuzione della sentenza.

Quando vengono affrontate tematiche di stampo carcerario, di suicidi, di pessime condizioni carcerarie, la mancanza di veri e propri programmi rieducativi – tutti elementi presenti in Costituzione -, assistiamo, consuetudinariamente, ad una classe politica – al di là dello schieramento – che decide di girare la faccia dall’altra parte. Nel tempo, le varie legislature, non sono mai state in grado di invertire seriamente la rotta. I più attenti, ben ricorderanno, che quasi al termine della XVII legislatura, in cui il Governo di allora era guidato da Paolo Gentiloni, evitò di emanare un decreto legislativo già pronto in materia di pene alternative; questo, con molta probabilità, per timore di pagare poi dazio alle imminenti elezioni che ci sarebbero state il mese successivo. Segno evidente di tematiche particolarmente scivolose, dove la politica, più che tutelare certi diritti, preferisce tutelare il proprio bacino di consensi.

Anche il peggiore dei criminali, e questo lo lascia intendere la nostra Costituzione, deve poter essere destinatario di una pena umana, rispettosa della sua dignità

Le prigioni Italiane, e questo lo testimonia l’alto numero di suicidi, sono luoghi fatiscenti, posti invivibili, dove vige l’assenza totale di una qualsivoglia forma di privacy, con poche attività quotidiane finalizzate ad una concreta e reale rieducazione.

Andrebbe spiegato alla classe politica che non si è garantisti soltanto in pendenza della fase di cognizione del processo; il vero garantista è quello che ha a cuore le sorti del detenuto

La certezza della pena è un principio sacrosanto, nessuno lo può mettere in discussione, altrimenti il rischio è quello di svuotare la portata “minacciosa” della norma penale. Le norme penali, diversamente da altre tipologie di diritto, hanno come caratteristica l’evidente tratto della “minaccia”. Se un soggetto ha un comportamento tipizzato stabilito dal precetto normativo, è giusto che subisca, a livello di trattamento sanzionatorio, quanto stabilito dalla norma nella parte dedicata alla punizione. Uno Stato di diritto funziona se è attuato il principio della certezza della pena, che non può che espiarsi nel pieno rispetto dell’umanità e della dignità dell’uomo.

Le pene alternative, presenti ad oggi nel nostro panorama ordinamentale, sono servite esclusivamente ad evitare che l’Italia fosse ulteriormente destinataria di condanne da parte della Corte EDU per violazione evidente dei diritti umani del detenuto, sovraffollamento carcerario compreso

Come al solito, più che affrontare i problemi dal punto di vista strutturale, si preferisce eluderli. Nelle attuali pene alternative, insomma, c’è ben poco dei principi costituzionali. La certezza della pena, secondo la Costituzione, sta a significare che il sistema penale deve essere concretamente in grado di perseguire i reati e di condannare i colpevoli, non che le modalità di esecuzione della pena non possano e debbano essere anche graduate, sia dal punto di vista della forma, che della sostanza, finalizzato, il tutto, a rimettere il reo all’interno del circolo socio-lavorativo, affinché non rappresenti più un pericolo per la società. La certezza della pena, diversamente dalla concezione generale, non può essere rappresentata dall’attuale canone qualitativo del sistema carcerario nonché dalle poche pene alternative attualmente presenti, le cui inadeguatezze sono sotto gli occhi di tutti.

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