L’ondata populista che ha animato la scena politica degli ultimi anni è entrata in una fase di riflusso. Quanto ha inciso la “carenza di visione culturale” e di formazione politica dei suoi rappresentanti nel determinarne l’arretramento?
Si tratta di un’incidenza indiretta ma profonda. Il populismo ha avuto la prima grande battuta d’arresto all’indomani delle votazioni per il parlamento europeo quando i populisti pensavano di dare la spallata all’establishment. E invece non è successo: già subito dopo i populisti del M5S votavano con il centrosinistra per Ursula ven der Leyen, e i sovranisti si spargevano in tre gruppi; Orban restava con i popolari, Lega e Fronte national erano in un gruppo, Fratelli d’Italia con i conservatori. Poi c’è stata la tormentata estromissione di Trump dalla Casa Bianca; e nel mezzo la pandemia che non ha giovato ai movimenti populisti ed ha stretto le popolazioni intorno ai governi in carica. Ma il problema vero dei populisti è che cavalcano emozioni e battaglie occasionali e si affidano a leadership tribunizie, senza una visione e una strategia da statisti, senza un tentativo di formare e selezionare una classe dirigente.
A fronte dei nuovi scenari politici, economici e sociali prodotti dalla pandemia Covid – 19, che direzione potrebbe assumere il fenomeno?
Se ci riferiamo alla situazione italiana mi pare che il populismo allo stato attuale sia in pausa, se non in ritirata, tra i Cinque stelle che sbandano, si alleano con tutti, e in particolare col partito dell’establishment, il Pd; arrivano a definirsi atlantisti ed europeisti, moderati e liberali; e i leghisti che entrano nel governo Draghi e mettono in sonno l’istanza sovranista, separandosi dai sovranisti di fratelli d’Italia che sono andati all’opposizione. Ma in tutta Europa non sembra un momento favorevole per i populisti. Non dimentichiamo che oltre i populisti citati, più strettamente politici, c’è anche un populismo verde (ascendente Greta), un populismo dell’accoglienza (ascendente Karola) e un populismo catto-umanitario (ascendente Papa Francesco), che godono invece di sostegno mediatico-istituzionale.
A parere di autorevoli studiosi la pandemia ha accelerato alcuni processi già in atto. Tra questi l’avvento del 5g il cui impatto potrebbe essere ancor più dirompente di quello della rivoluzione industriale. Qual è il nuovo paradigma che si sta affacciando e cosa potrebbe generare?
Credo che l’inquietudine maggiore – comprensiva del 5G ma più vastamente del controllo dei social e soprattutto della priorità sanitaria – sia il regime di sorveglianza che si va configurando su vari piani e che segna il convergere di tre inquietudini: la forza di potenze transnazionali (industria farmaceutica, colossi del web, finanza internazionale), l’ascesa sulla scena mondiale del ruolo e dell’incidenza del regime tecno-comunista cinese e l’influenza ideologica di quella egemonia culturale fondata sul politically correct, la cancel culture e i “diritti civili”. E resta sullo sfondo l’arrivo del nuovo proletariato di riserva, con i flussi migratori.
A livello nazionale da dove dovremmo ripartire, e quali azioni occorre mettere in campo, per la realizzazione di una nuova classe dirigente capace di fronteggiare le sfide future che ad oggi appaiono sempre più ardue?
Si dovrebbe ripartire dalla formazione e dalla selezione di una classe politica adeguata, il collegamento tra forze nazionali e internazionali affini, la capacità di pensare la politica oltre che farla, e dunque dotarsi di una linea culturale e strategica. E si dovrebbe cercare, a livello europeo, di configurare un sovranismo europeo, capace di fronteggiare con forze adeguate gli assetti globali e le potenze egemoni (Cina, Usa, Tecno-finanza, flussi migratori, commercio estero, aree di crisi) e proporre una politica estera, strategica e militare europea. Insomma un sovranismo che si pone in confronto col mondo, lasciando il più possibile sovrani gli stati nazionali al loro interno. Una confederazione di patrie. Ma a guardarsi intorno, è pura teoria, pensiero alto ma privo di terreno reale…
Intervista con Marcello Veneziani di Filippo Romeo per L’Intellettuale dissidente.
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