È partita col piede sbagliato, e con troppo anticipo, la riabilitazione postuma di Bettino Craxi, in vista del ventennale della sua morte, il prossimo 20 gennaio. La Fondazione Craxi sta organizzando un pellegrinaggio ad Hammamet, aperto alla nomenklatura politico-intellettuale per spingerli a un mea culpa collettivo verso il leader socialista, trattato come un delinquente negli ultimi anni di vita. Il sindaco di Milano Beppe Sala ha aperto il revisionismo filo-craxiano nella città che lo vide protagonista rampante. E un grappolo di storici, intellettuali e politici ha riaperto sui giornali il processo a Bettino in versione assolutoria. Ma sono partiti col piede sinistro, ritenendo che la questione sia riabilitare Craxi come uomo di sinistra.
Il sottinteso è trasparente: se Bettino Craxi viene riconosciuto leader di sinistra scatta il bonus etico, viene ripulito dei suoi peccati e dei suoi reati, perché allora i suoi errori – veri o presunti – sfumano rispetto al nobile progetto di una sinistra moderna, democratica ed europeista. Il secondo atto implicito della riabilitazione è che se Craxi ha fondato davvero una sinistra postcomunista, libertaria ed occidentale, può essere ammesso a buon diritto tra i padri della sinistra presente, come precursore del Partito Democratico integrato nell’establishment eurocratico.
In realtà la questione se Craxi sia rimasto o meno di sinistra è irrilevante ai fini del giudizio storico e politico, o comunque secondaria; quel che conta è soppesare il suo ruolo in politica e in Tangentopoli, la sua incidenza al governo, il suo dire in rapporto al suo fare, le sue vittorie e i suoi errori ed esprimere un giudizio complessivo su di lui in relazione alla storia politica d’Italia.
In questa luce Craxi è stato l’ultimo grande leader politico che abbiamo avuto in Italia, l’ultimo che abbia fatto valere il primato della politica e della sovranità nazionale sull’economia e sui poteri sovranazionali. Al suo confronto il fin troppo elogiato Berlinguer risulta un cattivo perdente e uno scialbo interprete del suo tempo. Perché non volle e non osò compiere veramente quella Bad Godesberg vanamente auspicata. Perché si attardò con l’eurocomunismo, oscillando tra la diversità comunista e il compromesso storico, mentre Craxi aveva già compiuto una radicale rottura non solo con il leninismo e il marxismo, ma anche con i residui collettivistici e con la demagogia egualitaria e sindacale che allora imperversava. E aveva riaperto i conti con la nazione e la modernizzazione, la visione dell’Europa come terza via tra la deregulation atlantica e il residuo sovietismo dell’Est; l’urgenza di una riforma istituzionale di tipo presidenziale e di un sistema bipolare compiuto, con una effettiva alternanza. Oggi si tende a sminuire quel conflitto tra i due mondi e i due partiti, ma fu profondo e decisivo. Se Craxi restò a sinistra, vi restò riprendendo la linea di Crispi e per certi versi di Mussolini, non solo in politica estera e mediterranea; sposò la tradizione socialdemocratica col decisionismo e col socialismo tricolore risorgimentale. All’ideologismo antifascista della sinistra oppose un forte senso storico e realistico. Un altro mondo rispetto alla sinistra nostrana.
Invece Craxi conquistò forti simpatie a destra. Quando fermò la demagogia sindacale ai tempi della scala mobile, quando scelse l’Europa e l’Occidente, quando si oppose al compromesso storico, trovò il consenso della destra liberale e anticomunista. Ne furono interpreti il Giornale di Montanelli, poi Enzo Bettiza, Francesco Damato e i cosiddetti lib-lab, liberal-laburisti.
Ma con la svolta nazionale e presidenzialista, con Sigonella, con la linea filo-palestinese, con lo sdoganamento prima di Almirante e poi di Fini (che trovò modesto, inconsistente) Craxi conquistò simpatie tra la destra sociale e nazionale. Ma non lo seguirono né il Pci né il Msi (salvo Beppe Niccolai e Giano Accame), nemmeno nella vicenda di Sigonella, unico episodio di dignità nazionale, lasciandolo solo con Andreotti. Almirante vide nel socialismo tricolore un pericoloso concorrente e ruppe con chiunque avesse un dialogo da destra con il craxismo.
Scrissi in quel tempo un libro che guardava con interesse al suo decisionismo tricolore, il Giornale lo recensì titolando “Arriva da destra un Machiavelli per Craxi”. Lo stesso Bettino mi chiese tramite Massimo Pini di procurargli “Intellettuali sotto due bandiere” di Nino Tripodi, che raccontava il passato fascista di tanti voltagabbana, antifascisti postumi. Anni dopo, nel 1998, intervistai Craxi esiliato ad Hammamet titolando in copertina “Intervista al miglior politico degli ultimi vent’anni”.
Insomma Craxi destò odio militante a sinistra e tra i comunisti, e larghe simpatie a destra – ma non ai vertici del Msi e non al tempo di Mani pulite – oltreché tra i ciellini e nel mondo cattolico (anche per via del nuovo Concordato con la Chiesa). A sinistra lo consideravano un mezzo duce con gli stivaloni – come lo disegnava Forattini su Panorama – alleato della peggior Dc di Fanfani, Forlani e Andreotti, il famigerato CAF; sponsor di Solidarnosc anticomunista e dei dissidenti dell’est, oltre che di Cl e della nuova destra. E infine lo incoronarono Re di Tangentopoli (anche il Msi finiano si unì alle contumelie e lanciò monetine su di lui al Raphael). Oggi, invece, a sinistra dimenticano tutta questa storia, lo riabilitano e lo riscoprono come compagno e precursore. Quante penose e pelose amnesie…
Panorama n. 51