Chi sostiene la “resistenza” di Hamas non ha ancora crashato?
Mi permetto di usare questo termine informatico, crashare, per capire se sia per caso imminente una possibile defezione mentale di quanti reputano “resistenza” quella di Hamas, all’indomani dello scoppio delle proteste dei Palestinesi a Gaza e dell’immediata repressione delle stesse.
Come se la stanno vivendo i vari radical chic, woke, sinistrorsi, antioccidentalisti e compagnia, in queste ore?
Se le staranno facendo un paio di domande? Facciamo fatica a credere che ciò possa accadere, d’altronde sono bias cognitivi ambulanti, troppo legati a quel pregiudizio di conferma che è ormai evoluto in una dissociazione cognitiva allucinante, dove il “non voglio ascoltare la verità storica (perché ciò mi crea una tensione emotiva)” è diventato “non so di che cosa stai parlando”.
Ma così è. A Gaza, come continuiamo a ripetere da oltre 500 giorni, non esiste nessuna “resistenza”
Hamas non ha mai difeso la popolazione, ma sempre e solo tutelato i propri interessi. I palestinesi sono serviti – e servono – solo come carne da macello, come per altro da diktat suggerito dall’estinto Yahya Sinwar a proposito della necessità che il loro sangue annaffiasse “la causa”.
Sinwar, che il nostro mondo occidentale ha celebrato come eroe della “resistenza”, la cui morte è stata tanto pianta dalle “sue bimbe” nostrane
Quindi, a Gaza, chi fa la “resistenza”, adesso? Dalla parte di chi si schiereranno i difensori occidentali? Il sistema non ha ancora crashato?
Questa, tuttavia, non è nemmeno la parte più drammatica dell’intera vicenda.
Perché, mentre qui da noi orde di rivoluzionari da salotto o d’università autogestite si scapicollano per difendere la “missione” di Hamas – e nemmeno troppo bene, stando al capitombolo elettorale di Cambiare rotta in quel dell’ateneo torinese -, a Gaza i palestinesi muoiono trucidati da quella stessa “resistenza”
Perché la risposta di Hamas, ovviamente, non si è fatta attendere. E come poteva?
Esecuzioni sommarie, pestaggi e torture, come quelle toccate a Odai Al-Rubai. Aveva 22 anni e si era scagliato sui social contro i jihadisti, promuovendo le proteste di strada.
L’hanno massacrato di botte e mutilato, per poi rispedirlo a casa alla famiglia, ormai in fin di vita – un modus operandi consolidato, che ricorda esattamente quello toccato a Ilan Halimi, il ragazzo ebreo marocchino che subì la stessa sorte nel 2006, a Parigi, massacrato e lasciato moribondo lungo i binari del treno
Odai è morto. Di lui ha parlato Hamza al-Masri, un attivista palestinese di Gaza, che “grazie” ad Hamas anni fa ha perso un occhio e che conosce bene le torture di cui sono capaci quelli della “resistenza”. Ha lanciato diverse accuse contro la cosca che comanda Gaza, compresa la denuncia del controllo dei media, per la quale ha commentato “Il mondo non ha idea di cosa sta succedendo”.
Su questo, tocca dissentire. Perché il mondo lo sa eccome ma non gliene importa. Oppure lo nega, tacciandola come “propaganda sionista”, perché è troppo accecato dall’antisemitismo, più forte di qualsiasi morte di un 22 enne palestinese che voleva solo vivere la propria vita in pace
Quindi, allo stato attuale dei fatti, rimaniamo in attesa di sapere quando l’onestà intellettuale di questi difensori della “resistenza” farà finalmente capolino, così da permettere loro di togliersi il prosciutto dagli occhi e ammettere che la “resistenza” ce l’hanno solo in testa.
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