Avete mai avuto l’impulso irrefrenabile di comprare libri che poi avete messo a prendere polvere senza aprirli mai?
Siete mai passati in libreria a prendere un libro solo per il gusto di averlo, pensando così di completare una passione?
Il piacere del possesso
Spesso possedere un libro che tratta di un argomento che ci piace, completa il gusto nel momento in cui lo possediamo.
Perché ci pare di avere comprato la magia della conoscenza in esso racchiuso.
Di averla conquistata, di averla fatta nostra..anche se non lo.leggeremo mai.
Non si cancellerà, non andrà perduta. Sarà sempre là.
Edward Newton, vissuto a cavallo tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima metà del Novecento lo affermava.
“Anche quando non si possono leggere, la presenza dei libri posseduti produce una forma di estasi: l’acquisto di più libri di quanti se ne possano leggere è nientemeno che un tentativo dell’anima di avvicinarsi all’infinito. Apprezziamo i libri anche se non li abbiamo letti, il solo fatto di saperli vicini ci fa sentire comodi. Solo saperli disponibili ci trasmette sicurezza”.
Una parola giapponese
Pure senza conoscere la parola che i giapponesi usano per descrivere questa abitudine, essa appartiene a molti di noi.
Tsundoku (積ん読) indica l’abitudine di acquistare libri e di lasciarli sullo scaffale ad impilarsi, senza leggerli.
Il termine risale all’era Meiji (1868-1912), ed è nato come slang giapponese. Tsundoku combina elementi di tsunde-oku (impilare le cose per usarle in un secondo momento) e dokusho (leggere libri)
“Tsundoku”, significa letteralmente “comprare più libri di quelli che si possono leggere”.
Secondo l’esperto di giapponese e professore alla Cornell University Sahoko Ichikawa, Tsudoku sarebbe in realtà un gioco di parole nato in epoca Meiji, tra il 1868 e il 1912.
Alla base del neologismo ci sarebbe il verbo giapponese tsunde oku, che significa “accumulare e lasciare lì per un po’”. A questo verrebbe poi aggiunta la parte “doku” , espresso da un carattere di origine cinese usato nella scrittura giapponese (in gergo un “kanji”) che significa “leggere” .
Anche Umberto Eco ne è affetto
In un articolo scritto per La Repubblica nel 2007, Umberto Eco chiariva che il bibliofilo raccoglie libri essenzialmente per avere una biblioteca perfetta.
Essa nella sua visione, “non è una somma di libri, è un organismo vivente con una vita autonoma. La biblioteca di casa non è solo un luogo in cui si raccolgono libri: è anche un luogo che li legge per conto nostro”.
Per questo sarebbe bene conservare uno spazio del genere nelle nostre abitazioni.
Nassim Nicholas Taleb la teorizza
Proprio Umberto Eco è citato dal libanese Taleb in tema di libri.
Nassim Nicholas Taleb è un filosofo, saggista, matematico e accademico libanese naturalizzato statunitense.
Si occupa soprattutto delle teorie della probabilita’ ma non è immune dallo tsundoku.
Nel suo saggio bestseller Il cigno nero, Nassim Nicholas Taleb sostiene che “Una biblioteca privata non è un’appendice che stimola l’ego, ma piuttosto uno strumento di ricerca. I libri letti hanno un valore molto inferiore rispetto a quelli non letti. La biblioteca dovrebbe contenere tutto ciò che non si conosce. In effetti, più sai, più grandi sono le file di libri non letti”.
Per fare un esempio pratico di quello che scrive, Taleb cita proprio l’enorme collezione di libri di Umberto Eco quasi trentamila volumi, in gran parte mai letti.
Taleb chiama l’insieme dei libri non letti “anti-library”. Un’anti-library sarebbe utile perché ricorderebbe giornalmente i propri limiti.
Una grande quantità di cose che non si conoscono, che si conoscono solo per metà o che un giorno si potrebbe scoprire di aver sempre sbagliato.
Ricordando ogni giorno quanto ancora non si sappia, si è stimolati a coltivare una forma di umiltà intellettuale, in grado di migliorare il processo decisionale e guidare l’apprendimento.
Il saper di non sapere Socratico.
Il filosofo ateniese con la formula “sapere di non sapere”, riportata nell’Apologia di Socrate di Platone, spiega che la consapevolezza della nostra ignoranza è il principio di ogni saggezza.
Borges ci scrisse un racconto
Negli anni Quaranta, Jorge Luis Borges, scrittore e poeta argentino, scrisse un racconto fantastico intitolato La biblioteca di Babele.
Lo spazio cui si fa riferimento nel titolo è un luogo talmente ampio da rappresentare un vero e proprio universo infinito, pieno di libri.
Poiché nella biblioteca vi sono tutti i possibili libri di 410 pagine, non solo è presente il libro della Verità, ma anche ogni sua possibile variante e perfino il suo opposto, e gli uomini non hanno la possibilità di distinguerli.
Proprio perché vi esistono tutti i possibili libri di 410 pagine e tutte le verità e anche le falsità che vi si riescono a scrivere, nonché semplici sequenze senza alcun senso (puro rumore, quindi), la prospettiva della Biblioteca è incommensurabile con quella della specie umana.
Borges stesso diresse la Biblioteca Nazionale di Buenos Aires e aveva una preventivabile fissazione per i volumi, condivisa con tanti altri illustri scrittori.
La fissazione di averli, anche se ci sopravviveranno e non li avremo mai nemmeno aperti. Staranno là, a ricordarci quanto abbiamo ancora da imparare.
Perché in fondo chi crede di sapere già tutto, va lasciato nella sua ignoranza.
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