«Comunque, so’ Lillo». Come per tutti i tormentoni, il trucco sta non nel cosa si dice, ma come. Fatto sta che queste tre semplici parolette hanno fatto la fortuna di Lol – Chi ride è fuori su Amazon Prime, il successo tivù più clamoroso degli ultimi tempi, metà reality e metà cabaret.
Semplicissima anche la formula: chiudi dei comici in una casa stile Grande fratello, ognuno cerca di far ridere gli altri, l’ultimo a sghignazzare vince. Rivelazione della rivelazione, appunto, «so’ Lillo», cioè Pasquale Petrolo alias Lillo, 58 anni. Comico di lungo corso ma anche conduttore radiofonico, musicista, attore, fumettista e adesso anche star del web.
Lillo, la domanda che si fanno tutti: come faceva a non ridere?
«Non lo so. So solo che è stata durissima».
Strabuzzare gli occhi aiuta?
«Mi veniva così naturale che sono rimasto sorpreso quando la mia faccia ha fatto il giro del web. Ma non recitavo. Se non vedi le telecamere, dopo mezz’ora ti scordi di essere ripreso».
È sorpreso di questo trionfo?
«Sorpresissimo. Oltretutto non è che proprio tutti abbiano Amazon Prime. Capivo che era divertente perché mi divertivo, ma non credevo a questo livelli».
Si sarà dato una spiegazione.
«Sì. Questo programma ha dato agli italiani quello che manca a tutti da più di un anno: il cazzeggio con un gruppo di amici».
Sembrava anche l’esorcismo dell’incubo del comico: nessuno che ride.
«Incubo, ha detto bene. Io l’ho sognato spesso: sono in teatro davanti al pubblico, dico la battuta e nessuno batte ciglio. Terribile».
E poi che succede?
«Di solito mi sveglio tutto sudato. Il colpo di genio del programma è chiedere di non ridere a chi di mestiere fa ridere».
Perché il suo Posaman piace tanto?
«Intanto perché faccio vedere che ci credo davvero. Funziona il contrasto fra la pochezza del supereroe e la serietà con cui si atteggia».
E poi?
«E poi penso che in questo periodo Posaman rappresenti l’impotenza di cui tutti siamo vittime davanti alla pandemia. Nemmeno un supereroe può farci nulla».
Lillo e il Covid
Il Covid: lei l’ha «fatto»?
«Eccome. Sono anche finito in ospedale, tre giorni in terapia intensiva, per fortuna non intubato. È stato doloroso e ho avuto davvero paura».
Perché quasi nessuno è riuscito a ironizzare sul Covid?
«Credo che la voglia di sdrammatizzare ci sia, l’ho visto da come sono stati accolti i miei post su Instagram. Però questo periodo ci ha tolto l’energia, ci ha svuotati. Non abbiamo più nemmeno la voglia di scherzare».
Nell’evo d.C., dopo Covid, la comicità cambierà?
«Credo che ci sarà una gran voglia non solo di ridere ma anche di farlo in compagnia. Spero che la gente venga a teatro a divertirsi insieme con gli altri».
Torniamo a Lol e ai suoi tormentoni. Perché una frase così semplice come «Comunque, so’ Lillo» fa tanto ridere?
«Perché è surreale. È chiaro che sono io, anche prima di togliermi la parrucca. E poi perché non era per nulla preparata. Posaman me l’ero studiato prima di entrare, “so’ Lillo” è nato così, improvvisando».
Ciro ha vinto perché era più bravo?
«Sicuramente era il più concentrato. Il gioco premia la concentrazione».
Davanti a chi ha fatto più fatica a restare serio?
«A Elio che balla il tip tap».
Come padrone di casa sadico peggio Maionchi o Fedez?
«Sono stati bravissimi. Maionchi è di una simpatia devastante anche nella vita, quindi sapevo che avrebbe funzionato. La sorpresa è stata Fedez: faceva il giudice, quindi una figura istituzionale, però rideva a crepapelle. E senza recitare: si divertiva davvero».
È vero che lei ha copiato da un concorrente della versione tedesca dello show?
«Ma no, è stato tutto chiarito. Io ho rifatto, citandolo, delle gag di un comico israeliano, il Mago Lioz, di cui sono un fan sfegatato. Il tedesco ha avuto la stessa idea, non so se dichiarandola. Ma io non l’avevo nemmeno visto».
Lillo e la politica
Grillo fa ancora ridere, magari senza volerlo?
«Sono spesso andato a vederlo. È un comico che ho sempre amato, anche se molti dei suoi monologhi, in effetti, erano già dei comizi. Di base, credo che la bellezza del nostro lavoro sia di farlo in palcoscenico. Quello che devi dire, denunciare, satireggiare lo fai lì».
Dia un consiglio a Draghi per diventare, o sembrare, più empatico.
«Per carità. Non si può avere tutto. L’empatia non è la prima qualità che chiedo a chi governa. In politica ci sono già stati fin troppi gran simpatici che hanno fatto danni».
Iniziali SB, per esempio?
«Mi creda: ci sono in tutti i partiti».
Del pasticcio Super Lega che pensa?
«Nulla. Sono l’unico italiano che non sa niente di calcio. La regola del fuorigioco l’ho capita solo due settimane fa, grazie a un amico molto paziente».
Un sabato sera di Raiuno lo farebbe?
«No. Primo, perché non me lo chiederebbero e, secondo, perché non ne sarei capace. I miei sketch surreali nel sabato di Raiuno? No, grazie, non funzionerebbero. E un varietà alla Fiorello è meglio che lo faccia lui che è bravissimo».
E un Sanremo?
«Sì, ma come concorrente. Insieme a Greg con la nostra band di rock demenziale, Latte & i suoi derivati».
Già, Greg: una volta eravate un’entità duale.
«Lo siamo ancora. Ogni tanto uno dei due fa qualcosa da solo, ma per me è impensabile recitare senza di lui. Infatti a giugno gireremo un film di cui siamo autori, registi e protagonisti».
Titolo?
«E chi lo sa? Non l’abbiamo ancora deciso».
Fonte Alberto Mattioli lastampa.it
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