Confessioni di una renziana, Matteo mi ha spiegato che “ci conviene essere pappa e ciccia con il governo”

MATTEO

Parlamentari renziani a cena. Il dehors di Emma, pizzeria gourmet dietro Campo de’ Fiori. Focaccia calda e Franciacorta freddo di benvenuto. Chiacchiere. Pettegolezzi. La più famosa del tavolo dice: «Devo raccontarvi di Matteo. Era in grande forma. Allora: ha iniziato la telefonata spiegandomi che non ci conviene far cadere il governo adesso e che, anzi, dobbiamo essere pappa e ciccia con Palazzo Chigi. Poi mi ha salutato dicendomi che però, se grillini e Pd insistono con il sistema proporzionale, sceglie un pomeriggio di agosto a caso, e Conte lo butta giù».

Risate perfide. La serata promette bene. Un altro giro di Franciacorta, grazie. Il tema – tra una crocchetta e un supplì – non è tanto: che idea abbia Renzi. Ma quante volte sia capace di cambiarla, dopo averla pensata. Accade con regolarità. Talvolta, come vedremo, nello spazio di poche ore. Nessuno è ancora riuscito a stabilire la natura di questi comportamenti. L’innegabile talento e l’indole – come saprete già da boy scout era soprannominato il “Bomba” – spiegano qualcosa, non tutto.

Certo è che le sue capriole sono ormai diventate un classico della politica italiana. Così è inevitabile che l’improvvisa passione scoppiata da qualche giorno nei confronti del premier Giuseppe Conte, criticato e tenuto sotto pressione persino durante il lockdown, desti più di qualche sospetto in numerosi osservatori.

Ci sono anni di Renzi in dissolvenza. Con la sua aria spavalda. Con i suoi tradimenti efferati. Leggendario quello del 17 gennaio 2014: all’epoca è segretario del Pd, è ospite di Daria Bignardi alle Invasioni Barbariche e sta parlando dell’allora presidente del Consiglio Enrico Letta: «Mi piacerebbe arrivare a Palazzo Chigi passando per le elezioni. Anzi, diamo anche un hashtag… #enricostaisereno, nessuno ti vuol prendere il posto» – l’hashtag poi divenuto un modo di dire, se pensi di voler fregare qualcuno.

Appena 36 giorni dopo, Renzi si insedia a Palazzo Chigi. Arriva a bordo di una Smart guidata dal deputato Ernesto Carbone. «Ero e resto una persona semplice». Poi va alla Casa Bianca da Barack Obama, torna e ordina l’Air Force Renzi, un jumbo gigantesco in grado di attraversare gli oceani senza scalo: che però, dopo un anno e mezzo di salatissimo leasing, non vola più. Vola lui, invece, nei sondaggi. Perché promette una riforma al mese e mille asili nido in mille giorni.

Durante un Consiglio dei ministri chiede, secco, a Beatrice Lorenzin, ministro della Salute: «Oggi tu che potresti annunciare di bello?» (lei, basita). Vince le Europee (Pd al 40,8%): va in trionfo alle Feste dell’Unità e poi flirta con Flavio Briatore. Convince Maurizio Landini, gran capo della Fiom, di essere il suo interlocutore privilegiato: ma poco dopo Landini scopre che in realtà Renzi stravede, letteralmente, per Sergio Marchionne. Però tutti pensiamo faccia sul serio, il 20 gennaio 2016, a Palazzo Madama, quando dice: «Ribadisco qui solennemente che, nel caso in cui perdessi il referendum costituzionale, considererei conclusa la mia esperienza politica».

Sapete com’è finita. Una sera, recentemente, Corrado Formigli, a Piazza pulita , gliel’ha chiesto. «Promise che sarebbe rimasto a casa. Perché ora dovremmo fidarci di una persona come lei?». E lui, Renzi: «È ovvio che ho cambiato idea! Ancora oggi mi domando: ma se mi fossi levato di torno, dopo aver perso il referendum, avrei fatto bene o male? Non lo so».

Giornalisticamente, un personaggione. Una sera di gennaio del 2018, va da Nicola Porro, Canale 5. «C’è un’idea… che chi fa politica sia un po’ traffichino, come si dice a Firenze. Beh, io mi sono portato qui l’estratto del mio conto corrente: ci sono 15.259 euro!». Dal conto corrente all’acconto, scriverà pochi mesi dopo Il Giornale, raccontando l’ingarbugliata storia dell’acquisto di una villa sulle colline di Firenze che Renzi avrebbe pagato un milione e 300 mila euro. Si smentisce con una disinvoltura che toglie il fiato. E i consensi.

Tra i leader, nei sondaggi, è ultimo: dopo Vito Crimi. Il suo amico Oscar Farinetti: «Matteo, dovremmo tornare almeno ad essere simpatici». Ma percepisce i consigli come critiche. Reagisce togliendo il saluto. Si volta e pensa alla prossima mossa. Ne ha sempre una. Da segretario del Pd perde le elezioni del 2018 – «Matteo è un delinquente che va processato dai militanti», disse Ugo Sposetti al Corriere citando Pier Paolo Pasolini – rifiuta disgustato un accordo con il M5S («Con quelli, mai!») e si affida alla teoria dei «popcorn»: lasciamo il governo a Salvini e Grillo, vediamo come se la cavano.

Il governo gialloverde se la cava male. Salvini, da ministro dell’Interno, giusto un anno fa, va a scolarsi qualche mojito ghiacciato al Papeete, chiede «pieni poteri» e allora in molti – compreso Nicola Zingaretti, divenuto nel frattempo segretario del Pd – pensano sia il caso di andare a votare. Ma ecco Renzi. Con un carpiato dei suoi.

«Facciamo un governo con i grillini». Il bello è che gli danno retta. Solo che lui sta già pensando ad altro. Giura: «Io che me ne vado dal Pd? Fantapolitica». Infatti il 18 settembre fonda Italia viva. Diventa la quarta forza di governo. E, subito, inizia a mettere pressione a Conte. Il Paese terrorizzato dal Covid-19, a Bergamo i morti portati via dall’esercito, e Matteo Renzi che punzecchia. La mattina del 20 maggio siamo tutti a Palazzo Madama. Caso Bonafede. Il suo mantra, alle 10, è: voto la mozione di sfiducia e, statene certi, stavolta faccio cadere il governo.

Due ore dopo: «Per senso di responsabilità…». Classica piroetta. Dicono: ha incassato qualche presidenza di Commissione. In realtà, a Conte chiede di poter sabotare l’accordo di governo tra Pd e 5 Stelle per una legge elettorale proporzionale. Italia viva, all’epoca, ancora non c’era. Una soglia di sbarramento al 5% sarebbe fatale per un partitino che non schioda dal 3%. Di questo, però, l’altra sera in pizzeria quei parlamentari non sembravano troppo preoccupati. Un po’, la certezza che «Renzi qualcosa s’inventerà». Un po’, il Franciacorta.

 

Fabrizio Roncone per il “Corriere della Sera”

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